Quegli scoop a colpi di ragionamenti
«Aproposito di cose da organizzare, tu parli il polacco?», domandò un giorno Ugo Stille a un giovane inviato. «No, il polacco proprio no, ma perché vuoi saperlo?», rispose il collega. «Perché vorrei rinforzare la copertura dall’Est Europa e aprire un ufficio di corrispondenza a Varsavia. Mi piacerebbe allargare la nostra squadra mandandoci uno che conosca bene la lingua». Era la primavera del 1987 quando il direttore più cosmopolita (e poliglotta) che il «Corriere» abbia mai avuto fece questa mezza proposta e la Polonia era il Paese dove si incubava la fine del comunismo. Un passaggio che sarebbe avvenuto un paio d’anni dopo, ma che Stille avvertiva come imminente e che voleva fosse spiegato nello stesso modo in cui lui aveva raccontato l’America per più di quarant’anni, mettendo a segno molti scoop «a colpi di ragionamento». Cioè in presa diretta, sintonizzato su sentimenti e cultura della gente comune, con analisi che svelassero ogni sottigliezza politica, senza dogmatismi o contaminazioni, senza romanzare nulla, così da rendere i lettori in grado di riflettere e trarre da soli le conclusioni sulla notizia. Normale che, da chiunque spediva in missione, pretendesse l’uso della lingua locale. Rispettatissimo e amatissimo dalla redazione, «Misha» Stille era rientrato in Italia per dirigere il «Corriere» con l’entusiasmo di uno che ritrovava, tra le sue diverse patrie, quella dove si era formato. Intellettuale curioso di tutto («Che succede a Napoli? Cosa pubblicano di nuovo a Palermo? Al Quirinale Cossiga mi sembra un po’ inquieto»), aveva modi semplici e diretti. Che a volte diventavano ruvidi come le sue giacche di tweed, con le tasche bruciacchiate dalle pipe ancora non spente che vi riponeva. Quando cominciò a collaborare da New York, nel 1946, trasmetteva con l’alfabeto Morse i suoi pezzi, decifrati e trascritti con ansia in via Solferino. Poi, quando le linee telefoniche furono sicure come la ricezione radio, li dettava con voce arrochita. Compresi gli ultimi, sillabati dal suo studio di via Solferino agli stenografi pronti con le cuffie alle orecchie poche stanza più in là.