Corriere della Sera

Bova torna a lottare nei panni di Ultimo: con lui aiuto i piccoli

«Un simbolo che non sono riusciti a infangare»

- Laura Zangarini

Ultimo è sempre lo stesso. Sulla mano sinistra, calza ancora il guanto di lana nera simbolo della battaglia di chi sta dalla parte dei più deboli. Otto anni dopo il terzo capitolo della serie dedicata al capitano dei carabinier­i che con la sua squadra arrestò Totò Riina, Raoul Bova torna a interpreta­re uno dei suoi personaggi più noti e amati dal pubblico televisivo.

Diretta da Michele Soavi, la miniserie «Ultimo - L’occhio del falco» (che porta il marchio Taodue) andrà in onda oggi e domani in prima serata su Canale 5. Taglio di capelli alla mohicano, vestiti sdruciti e barba incolta, Raoul Bova spiega che «la quarta stagione della serie prende il via dal processo che ha visto Ultimo indagato per concorso esterno in associazio­ne mafiosa (gli è stato imputato il fatto di non aver perquisito il covo di Riina a Palermo, dove il capo di Cosa Nostra aveva vissuto nell’ultimo periodo di latitanza fino alla sua cattura nel 1993, ndr) ».

Un’accusa da cui l’allora capitano (oggi colonnello) è stato assolto con formula piena «perché il fatto non sussiste». «Lo sport nazionale di questo Raoul Bova è stato Ultimo anche nei tre precedenti capitoli (share oltre il 30%). In alto, il vero Ultimo, Sergio De Caprio Paese — continua Bova — sembra essere diventato infangare i simboli. Con Ultimo, che ha vissuto il ruolo di carabinier­e come una missione, non ci sono riusciti. E questo, secondo me, merita di essere raccontato». Quello di Ultimo è un personaggi­o al quale l’attore romano tiene molto. «Mi sento onorato di poter tornare a raccontare questo carabinier­e che ha sempre vissuto in prima linea pagando un prezzo altissimo per la sua fame di legalità». Pieno di amarezza per quello che considera un «tradimento» dello Stato, Ultimo chiede di essere trasferito da Palermo. Assegnato al Noe (Nucleo operativo ecologico), il capitano si ritrova a indagare sui reati ambientali, perché lo smaltiment­o illegale dei rifiuti tossici è oggi uno dei business più redditizi della malavita organizzat­a. «Antrace, scorie radioattiv­e, rifiuti industrial­i... se si devono smaltire legalmente — dice uno dei mafiosi nel film — ci vogliono soldi assai...».

Ma sarà la richiesta disperata di un bambino, Diego, la cui madre è stata uccisa in circostanz­e misteriose, a spingere Ultimo a indossare di nuovo il guanto nero della battaglia.

L’impegno verso i più deboli coinvolge Ultimo anche nella realtà. Con lui Bova ha dato vita alla Fondazione capitano Ultimo per strappare i bambini alla strada, al degrado, alla criminalit­à organizzat­a. «Insieme alla nazionale cantanti, che ci ha supportato — spiega l’attore —, abbiamo ristruttur­ato un gruppo di case sulla Prenestina e siamo riusciti ad aprire una casa famiglia che accoglie bambini disagiati».

Perché questo titolo, «L’occhio del falco»? «Abbiamo preso spunto dal centro di recupe- ro per rapaci che abbiamo creato all’interno della casa famiglia della Fondazione capitano Ultimo — risponde Bova —. Falco era anche un diminutivo di Falcone, che ultimo conosceva e al quale si è ispirato. Il capitano si è sentito responsabi­le delle idee di Falcone e ha provato a farle camminare sulle sue gambe. Era una frase che citava sempre lo stesso magistrato: "Gli uomini passano, le idee restano e camminano sulle gambe di qualcun altro"».

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Sul set Raoul Bova (41 anni) è il capitano Ultimo Il cantante
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