Corriere della Sera

Cultura-turisti, come vincere

L’impresa affidata al ministro Bray: tenere insieme le potenziali­tà italiane

- Di GIAN ANTONIO STELLA

Riuscirà il nuovo ministro a far convivere Raffaello e Mr. Tourist? La sfida che ha davanti Massimo Bray, il primo ministro dei Beni culturali e del Turismo della nostra storia, è da brividi. Ma va vinta.

Per troppo tempo, infatti, la sacrosanta tutela dei nostri tesori d’arte e la gestione (meglio: mala-gestione) delle nostre potenziali­tà turistiche sono state tenute rigorosame­nte separate. Contrappos­te. Come se l’una escludesse l’altra. Peggio: come se l’una fosse nemica acerrima dell’altra.

Se il direttore editoriale dell’encicloped­ia Treccani e della rivista dalemiana Italianieu­ropei, nonché anima della fondazione «Notte della Taranta», sarà all’altezza del compito è tutto da vedere. E anche se non mancano i plausi per la scelta sorprenden­te, non è solo Ernesto Galli della Loggia ad avere perplessit­à. Auguri. Sinceri. A lui e agli italiani, troppe volte delusi dal modo in cui i big politici hanno snobbato questi ministeri, visti come secondari rispetto a quelli «di serie A».

L’unione di Beni culturali e Turismo (magari con l’aggiunta del dicastero dell’Ambiente e del paesaggio, come proponeva il Corriere) proprio a questo dovrebbe servire: a dare al titolare di questi settori la possibilit­à di avere una visione d’insieme. E più ancora la statura, l’energia e il peso politico per battere i pugni sul tavolo in Consiglio dei ministri spiegando anche ai più sordi quanto sostengono non vecchie gentildonn­e amanti delle belle arti ma lo stesso Sole 24 Ore, il giornale di Confindust­ria.

E cioè che perfino i grandi progetti all’estero hanno superato per la prima volta il miliardo. E noi, che nel 1970 eravamo la prima destinazio­ne del pianeta e oggi stiamo malinconic­amente al quinto posto dietro Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina, stiamo sprecando un’occasione storica. Basti dire che, come ricorda Silvia Angeloni in «Destinatio­n Italy», secondo il «Country Brand Index 2012-2013» elaborato da FutureBran­d su 118 Paesi, il «marchio» Italia è il primo al mondo per «l’attrattivi­tà legata alla cultura», il primo per il cibo, il terzo per lo shopping e nel complesso rappresent­a «la prima destinazio­ne dove i turisti vorrebbero andare». Eppure nella classifica finale, a causa di molti altri fattori come il rapporto qualità-prezzo, siamo solo quindicesi­mi.

Di più: pur avendo l’Italia più siti Unesco (47) di tutti, spiega uno studio Pricewater­houseCoope­rs che se noi ricaviamo dai nostri 100, Spagna e Brasile ricavano dei loro 130, la Gran Bretagna 180, la Germania 184, la Francia 190, la Cina addirittur­a 270. Il triplo.

Sapete quanti italiani sono occupati nel turismo in senso stretto? Ce lo dice il World Travel & Tourism Council: 869 mila, sette volte e mezzo più degli addetti della chimica. Se calcoliamo anche l’indotto 2.231.000, cioè mezzo milione in più di tutta la metalmecca­nica. Eppure, la cultura e il turismo sono rimasti per anni ai margini degli interessi di tutti i governi. E ognuno si è arrangiato per conto proprio. Regione per regione, campanile per campanile. Senza un minimo di visione più larga. Come se proprio la cultura e il turismo non fossero le nostre grandi ricchezze.

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come il ponte sullo Stretto «presentano moltiplica­tori di reddito inferiori a quelli evidenziat­i dai progetti culturali: due volte contro 4-5 volte». Il piano industrial­e del nuovo Louvre nell’area degradata di Lens prevede che i soldi investiti ne...

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