Cultura-turisti, come vincere
L’impresa affidata al ministro Bray: tenere insieme le potenzialità italiane
Riuscirà il nuovo ministro a far convivere Raffaello e Mr. Tourist? La sfida che ha davanti Massimo Bray, il primo ministro dei Beni culturali e del Turismo della nostra storia, è da brividi. Ma va vinta.
Per troppo tempo, infatti, la sacrosanta tutela dei nostri tesori d’arte e la gestione (meglio: mala-gestione) delle nostre potenzialità turistiche sono state tenute rigorosamente separate. Contrapposte. Come se l’una escludesse l’altra. Peggio: come se l’una fosse nemica acerrima dell’altra.
Se il direttore editoriale dell’enciclopedia Treccani e della rivista dalemiana Italianieuropei, nonché anima della fondazione «Notte della Taranta», sarà all’altezza del compito è tutto da vedere. E anche se non mancano i plausi per la scelta sorprendente, non è solo Ernesto Galli della Loggia ad avere perplessità. Auguri. Sinceri. A lui e agli italiani, troppe volte delusi dal modo in cui i big politici hanno snobbato questi ministeri, visti come secondari rispetto a quelli «di serie A».
L’unione di Beni culturali e Turismo (magari con l’aggiunta del dicastero dell’Ambiente e del paesaggio, come proponeva il Corriere) proprio a questo dovrebbe servire: a dare al titolare di questi settori la possibilità di avere una visione d’insieme. E più ancora la statura, l’energia e il peso politico per battere i pugni sul tavolo in Consiglio dei ministri spiegando anche ai più sordi quanto sostengono non vecchie gentildonne amanti delle belle arti ma lo stesso Sole 24 Ore, il giornale di Confindustria.
E cioè che perfino i grandi progetti all’estero hanno superato per la prima volta il miliardo. E noi, che nel 1970 eravamo la prima destinazione del pianeta e oggi stiamo malinconicamente al quinto posto dietro Francia, Spagna, Stati Uniti e Cina, stiamo sprecando un’occasione storica. Basti dire che, come ricorda Silvia Angeloni in «Destination Italy», secondo il «Country Brand Index 2012-2013» elaborato da FutureBrand su 118 Paesi, il «marchio» Italia è il primo al mondo per «l’attrattività legata alla cultura», il primo per il cibo, il terzo per lo shopping e nel complesso rappresenta «la prima destinazione dove i turisti vorrebbero andare». Eppure nella classifica finale, a causa di molti altri fattori come il rapporto qualità-prezzo, siamo solo quindicesimi.
Di più: pur avendo l’Italia più siti Unesco (47) di tutti, spiega uno studio PricewaterhouseCoopers che se noi ricaviamo dai nostri 100, Spagna e Brasile ricavano dei loro 130, la Gran Bretagna 180, la Germania 184, la Francia 190, la Cina addirittura 270. Il triplo.
Sapete quanti italiani sono occupati nel turismo in senso stretto? Ce lo dice il World Travel & Tourism Council: 869 mila, sette volte e mezzo più degli addetti della chimica. Se calcoliamo anche l’indotto 2.231.000, cioè mezzo milione in più di tutta la metalmeccanica. Eppure, la cultura e il turismo sono rimasti per anni ai margini degli interessi di tutti i governi. E ognuno si è arrangiato per conto proprio. Regione per regione, campanile per campanile. Senza un minimo di visione più larga. Come se proprio la cultura e il turismo non fossero le nostre grandi ricchezze.