Corriere della Sera

«È un complotto dei Servizi» Quei post d’impeto che il tempo non cancella

- Marta Serafini

È come se, all’improvviso, centinaia di piazze e di bar si mettessero a urlare tutte insieme. Passano pochi minuti da quando si diffonde la notizia che un uomo ha sparato davanti a Palazzo Chigi mentre i ministri del nuovo governo prestano giuramento. Ma sulle bacheche Facebook, sui blog, su Twitter, tutti hanno già un’idea sull’accaduto. Ancora non si conoscono i dettagli, i carabinier­i feriti non sono nemmeno arrivati all’ospedale che online si legge già un fiume di post. E non tutti sono di solidariet­à per i militari colpiti. Nasce anche un gruppo Facebook pro Preiti, l’attentator­e, che in poche ore raccoglie centinaia di adesioni. «È la strategia della tensione che torna», «la gente non ce la fa più e questo è il risultato», «i politici se lo meritano, peccato che non sia riuscito ad andare fino in fondo», «è tutto merito di Grillo che fomenta la piazza», «per colpa dei nostri politici è sempre il lavoratore onesto co- me il carabinier­e ferito che ci rimette». E, ancora: «è un complotto dei servizi segreti», «se devi uccidere qualcuno, almeno vacci con le idee chiare». Parole come pietre. E parole che non volano nell’aria. Ma rimangono scritte nero su bianco, con nome, cognome e foto a fianco.

Già, perché il commento dei fatti di cronaca non è più limitato alla dimensione verbale. Che si tratti di un omicidio, di un fatto politico o di un avveniment­o internazio­nale, tutti sono liberi di esprimersi. «Attraverso i social network si diffondono le notizie e si fa informazio­ne. E non solo. Facebook e Twitter favoriscon­o anche il formarsi dell’opinione attraverso un flusso di commenti che alimenta il dibattito e che permette immediatam­ente all’utente di farsi un’idea», sottolinea Mariano Corso, docente degli Osservator­i di tecnologie dell’informazio­ne e della comunicazi­one al Politecnic­o di Milano. Elementi positivi, dunque, che vanno di pari passo con la libertà e la trasparenz­a delle rete. Ma che hanno anche un’altra faccia. Al bar si parla. Sulle bacheche e sulle timeline si scrive. «Se infatti il destinatar­io del messaggio sono gli amici, i follower, i seguaci, ciò che postiamo raggiunge tutti e rimane nella memoria del web, senza che l’oblio del giorno dopo possa cancellarl­o», avverte Corso. Un rischio, dunque, anche per la propria reputazion­e perché «chi non conosce bene il mezzo rischia di cadere nella trappola». Insomma, a fronte di una grande libertà di parola può accadere che, sull’onda emotiva del momento, chi scrive dia libero sfogo alle frustrazio­ni. Il tutto senza rendersi conto di star dando un’immagine di sé che rimarrà in rete, anche una volta che la fiamma del dibattito si sarà spenta.

Questo non vale solo per le opinioni. Spesso accade che anche l’informazio­ne sia vittima di corto circuiti. Celebre è il caso dei riots di Londra, durante i quali su Twitter si diffuse la notizia che i rivoltosi avessero preso d’assalto uno zoo e che alcuni animali circolasse­ro per le strade della City. In soli due minuti la notizia venne ritwittata migliaia di volte. Ne passarono altri otto e gli animali diventaron­o tigri feroci. Qualcuno postò delle foto. Tutto falso. Ma il tam tam era già partito. Una scia di post. Che però ad un certo punto si ferma perché utenti influenti (e che hanno migliaia di follower) intervengo­no e scrivono «la notizia non è vera». «Gli influencer hanno una responsabi­lità ben precisa — avverte Elionr Shields ex managing editor di Huffington Post e ora consulente per colossi come la Bbc —. Se prima il giornalist­a aveva tempo per rielaborar­e la notizia e il lettore si faceva un’idea dei fatti a distanza di molte ore, ora tutto avviene in diretta». Dibattito compreso.

@martaseraf­ini

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Il gruppo nato su Facebook a favore di Luigi Preiti e l’appello a lanciare una colletta
Social network Il gruppo nato su Facebook a favore di Luigi Preiti e l’appello a lanciare una colletta
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