In Francia il 78% vuole un governo di larghe intese
PARIGI — I francesi che si ispirano all’Italia? Mentre a Roma il nuovo esecutivo giurava in circostanze drammatiche, a Parigi il dibattito politico si è spostato su quel 78% di cittadini che vorrebbero un «governo di unità nazionale» con personalità di sinistra, destra e centro e tecnici «espressione della società civile». Il sondaggio Ifop pubblicato proprio ieri dal Journal du Dimanche è piuttosto sorprendente, per chi è abituato a invidiare alla Francia il sistema elettorale a doppio turno e un semi-presidenzialismo che ha dato prova di garantire governabilità e stabilità. Ma i tempi sono eccezionali (disoccupazione record e crescita zero), la popolarità del presidente Hollande a un anno dall’elezione è molto bassa (24%), e così l’idea del centrista François Bayrou di distribuire su basi più larghe il carico di responsabilità ha avuto un successo inaspettato. Soprattutto tra gli elettori del centrodestra oggi all’opposizione, naturalmente (89%), ma anche tra quelli della sinistra (66%) che pure grazie alle urne nel 2012 aveva conquistato tutti i centri del potere: Eliseo, Assemblea nazionale, Senato. È così che il lessico tipicamente italiano della «società civile» e delle «convergenze» si fa strada anche in un Paese dove i numeri chiari in Parlamento permetterebbero di farne a meno. Bayrou, che si propone come primo ministro di questo ipotetico governo di emergenza, spiega che il sondaggio indica «una perdita di fiducia nei falsi antagonismi tra sinistra e destra, e la volontà di milioni di elettori di essere rappresentati in Parlamento» (Il Modem di Bayrou ha solo due deputati, come il Front National). Il laboratorio politico Italia affascina forse l’opinione pubblica, ma non chi è al potere. «In Francia "unità nazionale" non vuole dire niente — ha tagliato corto il ministro del Lavoro Michel Sapin, da sempre braccio destro di Hollande —: abbiamo una maggioranza chiara, nessun bisogno di cercarne un’altra».
@Stef_Montefiori
ROMA — Chiuso fino a sera tardi negli uffici di Palazzo Chigi che conosce molto bene, Enrico Letta ha lavorato al testo del discorso programmatico che oggi alle 15 leggerà nell’aula di Montecitorio e sul quale chiederà la fiducia del Parlamento, che arriverà entro domani. Il presidente del Consiglio proverà a dare un segno di novità anche nel discorso, che non dovrebbe durare più di mezz’ora. Prometterà la cancellazione dell’Imu sulla prima casa per quasi tutti i contribuenti, conterrà parole di autocritica per come i partiti non abbiano compreso le richieste di moralizzazione della politica e non abbiano saputo affrontare le riforme istituzionali e del sistema elettorale e siano apparsi lontani dal comprendere la gravità della crisi che colpisce famiglie e imprese. Autocritica, ma anche voglia di riscatto, determinazione nel cambiare e nel mandare un segnale di «fiducia» al Paese. E ovviamente un richiamo al «senso di responsabilità» di tutte le forze politiche, ancora più forte dopo la sparatoria davanti a Palazzo Chigi.
ROMA — Prima il nodo dell’Imu, che sarà sciolto molto presto, forse oggi stesso, poi la manovra di bilancio per ridare slancio all’economia. Fabrizio Saccomanni, neo ministro dell’Economia, è già al lavoro. Ieri mattina, subito dopo il giuramento al Quirinale e la riunione del Consiglio dei ministri, l’ex direttore generale della Banca d’Italia è salito al ministero di via XX settembre per il passaggio di consegne con il suo predecessore, Vittorio Grilli.
Un quarto d’ora di colloquio a quattr’occhi, una stretta di mano,
C’è bisogno, dirà Letta, di rasserenare gli animi, abbassare la tensione, riscoprire le ragioni nobili di una politica al «servizio» dei cittadini e con una forte «attenzione alla realtà». «Ognuno è chiamato a fare il proprio dovere», ammonirà. Il premier chiederà a tutte le forze politiche, anche quelle che non gli daranno la fiducia, di impegnarsi lealmente per riformare le regole del gioco, cioè l’impianto istituzionale e la legge elettorale. Il governo si proporrà come motore di questo processo, ma chiederà la piena collaborazione del Parlamento, chiamato a fare la sua parte con una «Convenzione costituente», dove Letta auspica si possano realizzare maggioranze anche più ampie, coinvolgendo quindi la Lega e il Movimento 5 Stelle. Ci vuole, dirà, «coraggio e un po’ d’incoscienza», come quella dimostrata dalla sua squadra.
In questa cornice verranno collocati i capitoli del discorso. Un discorso iper europeista, fondato su un fortissimo richiamo al valore dell’Europa unita, per contrastare ogni tentativo di chi vorrebbe contrapporre gli interessi e i destini dell’Italia a quelli del- poi Saccomanni, giunto al Tesoro da solo, è tornato a casa per riprendere in mano il dossier dei conti pubblici. Restando tutto il giorno in contatto con il premier, Enrico Letta, con il quale ha avuto anche due incontri specifici, uno dopo il Consiglio, l’altro in serata, per la messa a punto del programma che il premier incaricato presenterà oggi in Parlamento.
Nell’immediato il nodo da sciogliere riguarda l’Imu. Il Pdl ha chiesto la restituzione della tassa pagata nel 2012 e la sua cancellazione per
Enrico Letta, 46 anni, presidente del Consiglio, ieri ha partecipato al tradizionale rito dello scambio della campanella con il premier uscente Mario Monti, 70 anni la Ue. Essi, secondo Letta, sono invece indissolubilmente legati. E dunque non c’è prospettiva di crescita del nostro Paese senza la crescita di tutta l’Europa. Ma ciò richiede anche un cambiamento delle politiche economiche seguite finora, troppo improntate all’austerity, e il coraggio di arrivare all’«unione politica». Letta spera su questo di fare fronte comune innanzitutto con la Francia di Hollande. Di incoraggiamento anche le parole di Barack Obama che auspica «la crescita da entrambe le parti dell’Atlantico». Parole che hanno emozionato il premier: «I complimenti di Obama, quasi non ci credo!».
Il cambiamento delle politiche di austerity è del resto il presupposto per «mantenere gli attuali livelli di benessere» e aprire quegli spazi di manovra finanziaria indispensabili sia per accogliere le richieste di riduzione delle tasse, a partire dall’Imu: serviranno infatti dai 2,5 ai 4 miliardi per attenuare o cancellare del tutto l’imposta sulla prima casa. Ma poi ci sono da coprire interventi urgenti, dal rifinanziamento della cassa integrazione alla cancellazione dei previ- il futuro. Ma ci vorrebbero 8 miliardi subito e altri 4 l’anno dal 2014 in poi. Che nel bilancio pubblico non ci sono. Più praticabile potrebbe essere quella che è poi la proposta del Pd: eliminare la tassa per chi paga fino a 4-500 euro e, di fatto, per oltre i tre quarti dei contribuenti. Così l’operazione costerebbe un paio di miliardi e potrebbe essere venduta come prima tappa di un processo di una graduale eliminazione dell’imposta. Attorno a questa soluzione sta lavorando Letta.
Sciolto il nodo Imu, sul tavolo del neo ministro dell’Economia restano altri problemi urgenti da risolvere. Le spese di bilancio «sofferenti», come i fondi per la cassa integrazione, che a fine maggio saranno esauriti. O la questione dell’Iva, che dovrebbe salire di un punto da luglio: una minaccia alla ripresa che avrebbe bisogno subito di 6 miliardi (2 per quest’anno, 4 per il 2014) per essere disinnescata.
Saccomanni e Letta, in ogni caso, hanno già chiara la strada da seguire: le risorse per far fronte a queste e alle nuove esigenze politiche do- sti aumenti dell’Iva e della tassa sui rifiuti (Tares). E risorse saranno necessarie per mettere in campo un po’ di interventi a sostegno delle imprese, dei giovani e dell’innovazione, temi cari a Letta.
La parte più delicata del discorso, manco a dirlo, è quella che riguarda l’Imu. Su questa il presidente del Consiglio dovrà soppesare le parole. Annuncerà l’esenzione dell’imposta sulla casa per quasi tutti, come tappa di avvicinamento all’abolizione totale, con l’obiettivo di convincere anche i falchi del Pdl. Letta insisterà sulla necessità di guardare alle condizioni reali delle famiglie e delle imprese, che non possono sopportare un fisco eccessivo e hanno bisogno di una pubblica amministrazione che dia risposte chiare e in tempi certi, fattori chiave per ridare fiducia al Paese. E senza fiducia, senso di responsabilità, spirito di servizio, incoraggiamento ai giovani, alle donne alle imprese e «un nuovo Welfare» il Paese non può ripartire. vranno arrivare dai tagli alla spesa. In cantiere c’è la terza tornata della spending review (le prime due hanno assicurato 11,6 miliardi di risparmi l’anno a regime), ma anche il riordino delle agevolazioni, deduzioni e detrazioni fiscali.
A Washington, solo pochi giorni fa, Saccomanni ricordava che basterebbe «una ricomposizione del bilancio», indirizzando le risorse verso imprese e famiglie più deboli, per rilanciare la crescita senza compromettere i conti pubblici. Significa spostare la spesa da dove non serve più, o è poco produttiva, al sostegno delle nuove esigenze. Senza fare nuovo deficit, anzi, creando spazio anche per una possibile riduzione della pressione fiscale. Una ricetta che Saccomanni da banchiere centrale sostiene da tempo e che ora, da ministro, è pronto a sostenere al prossimo G7 di Londra, al quale è atteso il prossimo 10 maggio.