Maroni: più difficile il nostro voto Stop sulla cittadinanza agli stranieri
«Nulla contro l’integrazione, ma Alfano dica cosa pensa dello ius soli»
MILANO — «I primi due ministri che han parlato mi pare non abbiano dato un buon segnale». E così, Roberto Maroni oggi è «meno convinto» della possibilità di un voto leghista a favore del governo di Enrico Letta: «Uniche note positive i ministri Alfano, Lupi e Delrio. Il resto mi pare piuttosto deludente». Certo, «molto dipenderà da come il presidente del Consiglio raccoglierà le proposte della Lega. Ma sono stati fatti dei passi indietro rispetto alle attese. E se il buon giorno si vede dal mattino... ».
A far volgere al peggio gli umori leghisti sono le prime indicazioni del ministro all’Integrazione Cécile Kyenge. Che oltre a puntare a un superamento della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, ha indicato come «prima priorità» lo ius soli, la cittadinanza italiana per chi nasce nel Belpaese da genitori stranieri. Roba da far scattare i leghisti in assetto da guerra. Già sabato sera i nordisti hanno cominciato a inviarsi tra loro un diluvio di sms che riportavano senza commenti la dichiarazione della ministra nata in Congo. I commenti, in compenso, affoll a vano r oventi Facebook e Twitter.
«A me, Kyenge piace — ha detto Maroni —. Noi siamo stati i primi ad avere un sindaco di colore: con lei, nessun problema. Piace molto meno ciò che ha detto sullo ius soli. Anzi, sullo ius sola, detto in romanesco». Dove «sola» sta per fregatura. In un primo momen- to, addirittura, il segretario leghista aveva chiesto al vicepremier Angelino Alfano di dire pubblicamente se è d’accordo con le indicazioni della ministra Kyenge. Qualche ora più tardi, ostentava noncuranza: «Alfano non può certo essere
«Meglio Passera» Per lo Sviluppo, i leghisti preferivano la conferma di Corrado Passera, già preparato sulla materia
d’accordo. Quel che dice la ministra, a questo punto, non conta».
Assai poco apprezzata in via Bellerio anche la prima dichiarazione pubblica di Filippo Patroni Griffi, neo sottosegretario alla presidenza del Consiglio: «È giusto chiedere a questo governo un impegno forte per la nostra terra (il Sud, ndr) che può e deve essere il motore per far ripartire la crescita del Paese». L’esatto contrario delle più radicate convinzioni leghiste.
Risultato, la segreteria leghista convocata ieri mattina per un primo esame del nuovo governo ha visto soltanto interventi critici. Anche il governatore Luca Zaia, in teleconferenza dal Veneto e fino a sabato scorso sostenitore del dialogo con il nuovo governo, avrebbe sottolineato la difficoltà «quasi insormontabile» di una fiducia leghista all’esecutivo neonato.
Più in generale, osserva Maroni, «questo è un governo con poco Nord. Anzi, il Nord non c’è». E la torinese Emma Bonino? Il leader leghista alza le spalle. «Bonino ormai è romana». E l’ex sindaco di Padova Flavio Zanonato? Tra l’altro, il primo cittadino era finito sotto ai riflettori per il famoso muro contro gli spacciatori fatto costruire nella sua città. Un provvedimento che non era dispiaciuto ai leghisti. Maroni non si entusiasma: «Con noi ha sempre avuto un atteggiamento ostile. E poi, che c’entra lui con lo Sviluppo economico? Sarebbe stato meglio Sergio Chiamparino. Molto meglio... ».
In realtà, il segretario leghista per quel ministero si attendeva la conferma del ministro montiano Corrado Passera: «Non per nulla. Letta nei giorni scorsi aveva parlato di un mini s t e r o c hi a v i i n mano, pronto a partire. Tutti avevano pensato a Passera, che ha già in mano le questioni più cruciali e ha partecipato ai tavoli aperti su tutti i dossier». Insomma, tra i ministri non di centrodestra, l’unico a ottenere i pieni voti è il presidente dell’Anci Graziano Delrio, che ha già fatto sapere che il suo mandato sarà orientato a valorizzare le autonomie e il federalismo.
Ma, a p p u n t o , i l s i n d a c o uscente di Reggio Emilia è una mosca bianca nel gradimento leghista. E rispetto all’ottimismo della vigilia, il clima è decisamente cambiato. Anche se Maroni è attento a non sbattere la porta riguardo al voto di fiducia al nuovo governo: «Vedremo come Enrico Letta risponderà alle questioni che noi abbiamo posto: macroregione del Nord, un nuovo assetto fiscale nel rapporto tra centro e Regioni, e la conferma della Convenzione, che noi riteniamo possa aprire la strada al Senato federale».
E se così non fosse? «La Lega voterà no al governo di Enrico Letta. Ma non è un problema, vorrà dire che cambieremo atteggiamento. Del resto, se al governo non c’è il Nord, il governo del Nord siamo noi, i presidenti delle Regioni».