Arrestato il boss del palazzo crollato
L’hanno arrestato le teste di cuoio al confine, mentre cercava di scappare in India: Sohel Rana, 30 anni, costruttore e proprietario del palazzo-fabbrica di otto piani (tre abusivi) che mercoledì alla periferia di Dacca è crollato seppellendo tremila persone, in gran parte operaie di cinque aziende di abbigliamento che lavoravano dietro telai e macchine da cucire fabbricando camicie e pantaloni per conto di marchi occidentali. La notizia della sua cattura è stata salutata con un applauso sul luogo del disastro, tra le macerie dove da giorni si scavano tunnel a mani nude e con i picconi alla ricerca di morti e sopravvissuti. L’ultima (la più grave) tragedia del lavoro nella storia del Bangladesh, 377 corpi senza vita recuperati (bilancio provvisorio) sotto i blocchi di cemento della Rana Plaza, centinaia di feriti (diversi amputati), decine di nomi che ancora mancano all’appello. Oltre al costruttore (e a sua moglie) sono state arrestate sette persone, compresi tre dei proprietari che mercoledì hanno ignorato l’allarme per le crepe comparse sui muri ordinando al personale di restare nei laboratori (pena la perdita degli stipendi arretrati). La Banca Centrale del Bangladesh ha ordinato
Sohel Rana, 30 anni il congelamento dei fondi nei loro conti correnti, con i quali saranno pagati gli arretrati. Il palazzinaro Rana, piccolo boss locale dell’Awami League (partito di governo), rischia (sulla carta) l’ergastolo. Quasi mai in Bangladesh proprietari e manager sono stati condannati per le numerose tragedie sul lavoro (crolli, incendi etc). L’associazione nazionale che raccoglie le aziende di abbigliamento (80% delle esportazioni) teme che l’ecatombe di mercoledì porti i marchi esteri a cercare nuovi «paradisi» dove rifornirsi di produzioni a basso costo. Sarebbe più responsabile adoperarsi per il rispetto di condizioni di lavoro più umane, in un settore che impiega 4 milioni di persone. In gran parte donne, come le vittime del Rana Plaza: ieri nove sono state localizzate in un anfratto in profondità, insieme, ancora vive. Quattro giorni sotto le macerie: nella notte i soccorritori hanno cercato di raggiungerle, prima di lasciare il campo a gru e mezzi pesanti.
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