Freemont e 500 star a Shanghai Folla agli stand Ferrari e Maserati
SHANGHAI — C’era un bell’ingorgo sulla strada a sei corsie per il salone dell’auto di Shanghai (chiuso ieri): traffico imbottigliato e tutti a piedi per un chilometro fino ai cancelli. Ed era solo il giorno dedicato alla stampa (nei nove giorni per il pubblico un milione di visitatori). Tanto per capire l’importanza e l’imponenza di questo evento nella Cina terra-promessa per l’industria mondiale. Un mercato che è già il primo del pianeta con i 19 milioni di veicoli venduti nel 2012; ma atteso a una crescita incoraggiante (per i produttori) che dovrebbe raggiungere nel 2020 i 31 milioni di immatricolazioni in un solo anno, delle quali 22 milioni per auto. Con oltre il 70% delle vendite tenuto da marchi internazionali.
Per giorni, i quotidiani locali sono stati occupati massicciamente dalla campagna pubblicitaria dei tedeschi. Al salone lo stand della Volkswagen sembrava quasi un parcheggio tanti erano i modelli allineati. Una percentuale di rilievo sulle 1.300 auto esposte da 2mila costruttori di 18 Paesi. Ma in questo mare germanico le isole italiane erano ben visibili e sistemate in modo strategico, per fare sistema: lo stand della Fiat di fronte a quello della sorella Chrys l e r , quell o del l a Fer r a r i non distante dalla Maserati. E lo sforzo è stato premiato: Volkswagen, Bmw, Mercedes, Porsche hanno sponsorizzato una raffica di inserti, i nostri marchi hanno conquistato recensioni, dal China Daily al Wall Street Journal.
La Fiat ha presentato la sua Viaggio made in China, nella nuova fabbrica di Changsha costruita in joint venture con la Gac, che im- piega 3.500 lavoratori, una decina di ingegneri italiani, e ha una capacità di 160 mila vetture l’anno, aumentabile fino a 300 mila. E questi numeri fanno capire le ambizioni.
Guardando la Viaggio, il pr e s i dente di Fi a t Chi na F r a n c o A mad e i s o r r i d e : «Non è perché sono italiano, ma guardi le linee e le curve, c’è il nostro stile di disegno, da quello della Fiat a quello dell’Alfa, e qualcuno ci dice che nel muso si riconosce qualcosa della Maserati». La Viaggio verrà appoggiata da una rete di concessionari e di assistenza che potrà contare su circa 300 punti in Cina, allargandosi nelle città cosiddette di seconda e terza fascia, vale a dire quelle più «piccole» e lontane dalle megalopoli Pechino, Shanghai, Chongqing. Da ottobre ne sono già state vendute oltre 28 mila, a un prezzo abbordabile per la classe media della Repubblica Popolare: meno di 15 mila euro. Di nicchia dovrebbe essere la Fiat 500, importata.
La novità, qui, è la Freemont, che punta a entrare nel settore dei suv, quello che in Cina sta crescendo più rapidamente: +43% nel primo trimestre del 2013, rispetto al +17% dell’intero settore. Chrysler ha portato la Jeep Cherokee, che entro il 2014 verrà assemblata nello stabilimento Fiat Gac di Changsha.
Ed ecco il settore supercar, presidiato da Maserati, che ha presentato la nuova Ghibli, a un prezzo inferiore ai 100 mila euro, per sfidare Bmw e Mercedes come auto per flotte aziendali: «Perché la battaglia non si vince attirando negli showroom singoli acquirenti dotati di un bel libretto degli assegni», dicono alla casa fondata cent’anni fa a Bo- logna dai cinque fratelli Maserati e acquistata dalla Fiat nel 1993.
La Ferrari invece resta un sogno per pochi. Ma nemmeno t r o p p o p o c h i : n e l 2012 nella Greater China (oltre alla Cina, Hong Kong, Macao e Taiwan), ne sono state consegnate quasi 800 — 784 per la precisione —, di cui quasi 600 a cittadini della Repubblica Popolare. Oltre un decimo della pro- duzione di Maranello arriva qui. Chi sono i ferraristi cinesi? «Imprenditori in ascesa, artisti, attori, poco più che trentenni, in genere più giovani di dieci anni dei nostri clienti occidentali, perché qui il successo e la ricchezza arrivano prima», ci spiega Amedeo Felisa, amministratore delegato global. E gli fa piacere ricordare che «in Cina c’è la più alta percentuale di ferrariste donna» (anche se al suo fianco Edwin Fenech, capo del quartier generale del Cavallino a Shanghai, sussurra che «qualche importante cinese magari intesta l’auto alla moglie»).
Il gioiello è LaFerrari, l’ultima nata prodotta in soli 499 esemplari, 50 dei quali destinati all’Impero di Mezzo.
Ora anche la Ferrari pun- ta a farsi conoscere nelle città dell’interno, seguendo la promessa del governo di Pechino di far alzare il tenore di vita delle province più lontane. E ha una strategia per c ompetere c on Rol l s Royce e Bentley: «Quelle sono vetture da far guidare al- l’autista con la divisa, noi vogliamo far capire a chi si può permettere una grande auto che bisogna apprezzare il piacere di tenere il volante, di sentire la potenza e il suono del nostro motore».