Corriere della Sera

Il pianto dei colleghi: «Come sta?»

Leso il midollo, è grave il brigadiere colpito al collo. Frattura per l’altro militare

- Ester Palma © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

ROMA — Martina Giangrande ha 23 anni, è bionda e esile, il viso tirato. Accompagna­ta da alcuni parenti arriva da Prato, dove vive, al Policlinic­o Umberto I di Roma intorno alle 17 di ieri.

Suo padre, il brigadiere Giuseppe, 50 anni, è il ferito più grave della sparatoria di ieri mattina davanti a Palazzo Chigi. Colpito da un proiettile al collo, è stato operato per tre ore nel pomeriggio. È ricoverato nel reparto di rianimazio­ne neurochiru­rgica, dove sua figlia e gli altri parenti l0 hanno potuto visitare. Ma in sera- ta il bollettino medico non è ottimistic­o: «Il paziente ha subito una lesione midollare importante, le cui conseguenz­e non sono al momento valutabili», spiega il direttore sanitario del Policlinic­o Amalia Allocca. E aggiunge che la prognosi resterà riservata almeno per altre 72 ore «quoad vitam», cioè per sapere se si salverà.

«Buona domenica a tutti. Oggi grande giornata di sole», aveva scritto Giangrande solo ieri mattina, neanche un’ora prima della sparatoria, sul suo profilo Facebook. Che ha come foto principale, ironicamen­te, quella di Johnny Depp «pirata dei caraibi», e descrive un uomo sereno: la Pasqua nella sua Sicilia (è nato a Monreale, ma vive a Prato) la passione per il mare e per i piatti tipici della regione, le frequenti trasferte nella capitale. Nonostante il lutto che aveva colpito la sua famiglia solo quattro mesi fa, con la morte della moglie per una grave malattia.

Per tutto il pomeriggio, in ospedale, colleghi e amici gli sono stati vicini: «Come sta Giuseppe? — piange un cara- biniere in tenuta antisommos­sa, davanti al Pronto soccorso — Lo conosco da tanto, è una persona stupenda, molto attaccato al lavoro. Ancora non si era ripreso dalla morte della moglie, è terribile che ora gli sia successo anche questo, mi dispiace per la figlia». Lo ricorda con affetto anche Maurizio Agliana, uno dei quattro italiani vittime del rapimento del 2004 in Iraq, quando fu ucc i s o Fabri z i o Quattrocch­i: «Era nella staffetta che mi accompagnò nel viaggio di ritorno da Roma a Prato, dopo la liberazion­e. Cercava di sdrammatiz­zare, siamo entrati subito in sintonia. Siamo rimasti in contatto, ci sentiamo spesso, l’ultima volta pochi giorni fa, mi ha chiesto un consiglio per un amico».

Al San Giovanni è invece ricoverato l’altro ferito, Francesco Negri, 30 anni, carabinier­e scelto, campano di Torre Annunziata, dove vivono ancora il padre pensionato e la madre casalinga. Chi lo cono- sce lo descrive come un giovane coraggioso e innamorato del suo lavoro. «Viviamo una fase di tensione nel Paese e queste tensioni ricadono sulle nostre spalle», è il suo commento su quanto è accaduto. I proiettili di Preiti gli hanno causato una frattura e varie ferite alle gambe. Ma lui vorrebbe rientrare «al più presto in servizio», come ha detto anche alla presidente della Camera Laura Boldrini che gli ha fatto visita nel pome

riggio.

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