Martina, la fierezza di una figlia
Tre mesi fa perse la madre: «Io e papà, esercito sgangherato»
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un’invocazione urlata, ma frasi improvvisate e calme: «Sono fiera e orgogliosa di mio padre». Le parole di Martina Giangrande, 23 anni, figlia del carabiniere ferito nella sparatoria davanti a Montecitorio, gli occhi scavati in un dolore riaffiorato a soli tre mesi dalla morte di sua madre.
Cdue chi ha perso sono stata io, non lui, quindi non so, non credo, non so, non penso, non voglio pensare, ora non mi interessa, ora penso a mio padre e a me». Sul suo viso sbiancato e tondo si apre un altro sorriso mite quando ricorda il «piccolo esercito sgangherato» che era la sua famiglia. Metafora forse autoironica per la figlia di un carabiniere: «Ora siamo un mezzo esercito e tanto sgangherato, quindi non so... Penso a noi ora, perché siamo due». Un po’ meno di due, per il mo-
Senza retorica La sua semplicità senza retorica ricorda quella di Rosaria Costa Schifani, la giovane vedova di un agente vittima della strage di Capaci
Giuseppe Giangrande in una foto tratta dal suo profilo Facebook mento, finché non sarà sciolta la prognosi. Martina avrà certamente sentito l’ultimo bollettino medico, in cui si dichiarava che il colpo subìto da suo padre, il brigadiere Giuseppe Giangrande, ha lasciato «segni di danno midollare ai quattro arti», dunque probabilmente sa bene che dovrà combattere una lunga battaglia perché quel due (che non è più tre, il numero perfetto che era stato fino a poco tempo fa) torni a essere un due a tutti gli effetti, niente di meno che un due. E i suoi grandi occhi scuri, che a tratti abbandonano la tristezza per accendersi di fulminea vivacità, riescono ad aprirsi verso un orizzonte più ampio: «Sono giovane, quindi spero in un mondo migliore, in un mondo di pace».
«È una ragazza forte, l’abbiamo cresciuta alla siciliana», ha detto suo zio Ciro, «le staremo vicini». Vengono in mente i versi di Pasolini in difesa dei poliziotti, «figli di poveri», che affrontavano gli studenti ribelli e «piccolo-borghesi» di Valle Giulia. Ma tutto è cambiato, da allora, perché l’aggressore non era uno studente né un ribelle, e nemmeno un piccolo-borghese. Ci sarebbe da aggiungere qualche considerazione sugli stereotipi del Sud, della rassegnazione dei vinti verghiani ancora impressa nell’immaginario comune: niente di più remoto dalla saldezza e dall’orgoglio di Martina, che dopo aver fatto visita a suo padre — ancora semi-incosciente in un letto d’ospedale ma capace di darle un segno rassicurante — ha parlato del futuro, di «progetti stravolti che dovranno nuovamente essere cambiati»: «Quindi si ricomincia, si rifà un altro piano, un altro progetto, altre speranze, altri obiettivi». Se Martina spera, abbiamo il dovere di sperare anche noi.