Bersani apre al sistema francese
L’ex leader pd «riflette» Disponibilità anche da Sel
ROMA — È caduto un tabù e presto potrebbe caderne un altro, se possibile ancor più radicato a sinistra di quanto non fosse il «non possumus» al governissimo. Perché l’intesa tra Pd e Pdl sull’esecutivo sarà pure «un’eccezione» — come ha detto ieri Enrico Letta — ma un accordo sul semipresidenzialismo con il centrodestra sarebbe davvero un evento epocale, darebbe vita a un patto di sistema tra forze concorrenti eppure unite dalla riscrittura della Carta costituzionale. E se finora il modello francese è stata un’idea minoritaria nel Pd, è possibile che di qui alle prossime settimane — quando si inizierà a discutere di riforme — cada l’ultimo «muro». Grazie anche al contributo di Bersani.
Il segretario dimissionario del Pd ha sempre frenato sull’elezione diretta del presidente della Repubblica, senza però ancorarsi ai pregiudizi tipici della vecchia ortodossia di partito, ma perché «in un Paese come il nostro temo il rischio della deriva populista». Sebbene questi ti- mori non siano stati del tutto cancellati, da qualche giorno Bersani ha avviato una «riflessione», così l’ha definita, sul modello che il centrodestra propone da anni e che nella scorsa legislatura aveva posto al voto del Parlamento. Ora il leader uscente del Pd è pronto a discuterne, «e con gli adeguati contrappesi costituzionali — dice — è una soluzione sulla quale ragionare».
Se Bersani andasse fino in fondo, si ribalterebbero gli equilibri nel Pd, dove già renziani e veltroniani sono favorevoli al modello parigino, se è vero che l’anno scorso l’ex ministro Gentiloni chiese al suo partito — inascoltato — di trattare con il Pdl: «Prendiamoli in parola e andiamo a vedere il gioco, in cambio del sistema elettorale a doppio turno». Oggi quella posizione sta facendo breccia persino nell’area vendoliana. Nel giorno della rielezione di Napolitano al Quirinale, un capannello di dirigenti di Sel discusse la questione a Montecitorio, «e piuttosto che tenersi questo sistema presidenziale senza presidenzialismo — spiegò Leoni — è preferibile il sistema francese, che offre maggiori garanzie».
La Convenzione potrebbe consentire questa svolta, anche perché sarebbe un errore immaginare la commissione per le riforme solo come un escamotage per garantire la sopravvivenza del governo. E il passaggio verso il modello parigino avrebbe maggiore impatto della polemica che si è aperta sulla presidenza della Convenzione. Ieri Berlusconi ha avanzato la sua candidatura in modo prematuro, tanto che — davanti al gruppo del Pdl — ha ammesso di aver «sbagliato» a farlo: «Ero in tv e me lo sono lasciato scappare». Tuttavia — come racconta il capogruppo Brunetta — «nelle consultazioni, prima con Bersani poi con Enrico Letta, ci è stato detto che quell’incarico sarebbe toccato a noi».
Di più, il premier — a precisa domanda — avrebbe offerto garanzie al Cavaliere, che mira a un’opera diplomatica con il Pd per rimediare all’imprudenza mediatica: «Adesso sarà necessario un adeguato massaggio a qualcuno di loro. Ma se riuscissimo a fare le riforme sarebbe una buona cosa. Diventeremmo anche noi dei padri costituenti». Con Enrico Letta — ha raccontato Berlusconi — «abbiamo parlato dell’importanza che riveste la Convenzione, per cambiare l’architettura costituzionale dello Stato e fare in modo che l’Italia sia un Paese governabile».
È probabile che la Convenzione veda la luce, e che della commissione facciano parte altri «padri costituenti», rimasti fuori dal Parlamento e dagli incarichi di governo: da Amato a D’Alema a Veltroni. È certo comunque che il semipresidenzialismo e il sistema elettorale doppio turno lascerebbero intatto il bipolarismo, spazzando via le voci di un ritorno alla Prima Repubblica con un blocco centrale di stampo postdemocristiano.
Da questo orecchio il Cavaliere non ci sente, semmai lavora alla «riunificazione dei moderati», per porre fine alla diaspora provocata «dalle teste matte che hanno giocato a dividerci». L’operazione è in corso, «a una riunione — ha rivelato Berlusconi — ha partecipato anche Monti, che ha riconosciuto di aver commesso un errore rifiutando la mia proposta di essere il federatore dei moderati. Per il futuro dovremo collaborare». E non c’è dubbio che lo stesso Pd userà questa fase per ristrutturarsi. Ecco a cosa serve (anche) il governissimo.