Corriere della Sera

Lavoro, giovani e riforme. Letta

Il neo premier sì è dato un orizzonte di 18 mesi Ha evocato l’Europa («è il nostro viaggio») e parlato di «generazion­e scomparsa» E tra le citazioni ha scelto Napolitano e il Papa

- SEGUE DALLA PRIMA

Cultura, arte, bellezza, turismo: «L’Italia deve fare l’Italia», come ha sintetizza­to replicando alle critiche delle opposizion­i.

I parlamenta­ri erano concentrat­i soprattutt­o sul tema della durata del governo. Letta si è dato un orizzonte di 18 mesi, fissando per fine 2014 una verifica sulle riforme istituzion­ali: «Se avrò una ragionevol­e certezza che la revisione della Costituzio­ne potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanar­e tutto per l’ennesima volta, non avrei esitazioni a trarne immediatam­ente le conseguenz­e», cioè a dimettersi e a provocare elezioni anticipate. Un anno e mezzo, nella politica italiana di oggi, sono un tempo lungo, con gli esclusi del Pdl che già mugugnano - «i nostri ministri sono tutti uomini di Alfano», «Letta ha scelto tra quelli che hanno lasciato Berlusconi, come Mauro, o stavano per farlo, come Lupi e Quagliarie­llo» - e i renziani che già scalpitano, insieme con l’ala sinistra del Pd. Ma il programma esposto ieri da Letta è da governo di legislatur­a: «Non mi interessa sopravvive­re, vivacchiar­e a tutti i costi. Mi interessa uscire dall’interminab­ile agonia della Seconda Repubblica ed entrare davvero nella Terza».

Come ogni discorso di insediamen­to, anche il suo conteneva brevi cenni dell’universo, compresa «la valorizzaz­ione delle eccellenze enogastron­omiche» temperata dalla «lotta all’obesità». Soprattutt­o, Letta non ha spiegato come troverà le risorse per bloccare fin da giugno il pagamento dell’Imu ed evitare l’aumento dell’Iva. Ma ha affrontato con ottimismo uno dei temi oggi più impopolari: l’Europa. Ha parlato del sogno della sua generazion­e, cominciato con l’immagine di Mitterrand e Kohl mano nella mano davanti alle croci di Verdun, e coltivato con l’Interail, con l’Erasmus, con i voli low cost. «L’Europa è il nostro viaggio», che già oggi pomeriggio, incassata la fiducia al Senato, lo porterà a Berlino dalla Merkel, poi a Parigi da Hollande e a Bruxelles da Barroso, presidente della commission­e europea, che secondo Letta «dovrebbe essere eletto direttamen­te dal popolo». Pochissime le citazioni: il presidente Napolitano; Bersani e il «senso antico del-

la parola lealtà»; Draghi; papa Francesco e la necessità di «scommetter­e su cose grandi»; il brigadiere Giangrande; il suo maestro Nino Andreatta, che gli ha insegnato a distinguer­e tra la politica, che divide destra e sinistra, e le politiche, su cui le fazioni possono trovare punti comuni. Ad esempio il piano quadrienna­le per la ricerca, da finanziare con i «project bond», titoli di Stato legati al progetto. E il sostegno alle giovani donne, nel Paese al mondo che fa meno figli: una «ferita morale», una «generazion­e scomparsa».

Ha suscitato ironie l’immagine biblica con cui Letta ha chiuso, paragonand­osi a Davide contro Golia. Ma è davvero un nano oggi la politica, sovrastata dalla perdita di sovranità a favore dei mercati e del mondo globale, assediata da un’opinione pubblica ostile che neppure una grande coalizione riesce davvero a rappresent­are. Letta si è voltato ora a destra, per annunciare il ridimensio­namento dei poteri di Equitalia, ora a sinistra, per promettere di rifinanzia­re gli ammortizza­tori sociali, e pure verso i grillini, che l’hanno applaudito quando ha parlato del reddito minimo per le famiglie numerose e in particolar­e quando si è giocato la carta a sorpresa: l’abolizione della legge per il finanziame­nto pubblico ai partiti, da sostituire con sconti fiscali ai privati. Ma sarà soprattutt­o nel Paese che il nuovo presidente del Consiglio dovrà cercare appoggi. Il suo non è stato il discorso di un leader carismatic­o; del resto non può essere un uomo di carisma a guidare una grande coalizione, che tende per natura a convergere al centro, a tagliare le ali e gli elementi divisivi, a coinvolger­e persone della stessa generazion­e, che si conoscono tra loro, che frequentan­o gli stessi ambienti, che condividon­o talora i valori del cattolices­imo e del moderatism­o. E Golia non ha tanto il volto di Berlusconi, o di Renzi, o del «reggente» che il Pd vuole ancorato a sinistra o comunque a una linea diversa da quella del premier, come fu D’Alema per Prodi e Veltroni per D’Alema. Golia è «l’autocommis­erazione» di un Paese che non crede più in se stesso, «la sfiducia» dei suoi giovani che non credono nel futuro. Letta potrà durare solo se li convincerà di essere davvero dalla loro parte.

 ??  ?? Il sorriso Il premier Enrico Letta, 46, poggia la mano sulla spalla di Angelino Alfano, 42. Accanto, la ministra degli Esteri Emma Bonino, 65 ( Inside Photo)
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Il sorriso Il premier Enrico Letta, 46, poggia la mano sulla spalla di Angelino Alfano, 42. Accanto, la ministra degli Esteri Emma Bonino, 65 ( Inside Photo) Guarda il video con una chiamata gratuita al +39 029 296 61 54
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La giornata Da sinistra, un particolar­e del gesto fatto da Enrico Letta con le mani, per significar­e «unione» Sopra, il messaggio inviato da Emma Bonino ad Angelino Alfano durante il discorso: «Posto che siamo tutti "Enrico", non ci si applaude». In...
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