Corriere della Sera

In archivio vent’anni di insulti Ma i veri applausi sono anti-Grillo

La «sofferenza» dei parlamenta­ri costretti a dimenticar­si liti e scazzottat­e

- SEGUE DALLA PRIMA Gian Antonio Stella © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

E vent’anni di risse, morsi e zannate appaiono (davvero?) alle spalle.

Non ci son più i mastini di una volta. Il pizzuto co-fondatore di Fratelli d’Italia, una volta, aveva addestrato un cagnone camerata e ardito di nome Schranz che, spiegava la sorella Emilia, «alla lettera "c" rizzava le orecchie, al "com..." aveva già i denti digrignant­i e prima che ’Gnazio finisse la parola "comunisti" abbaiava già come un ossesso». Dall’altra parte, YouTube trabocca di cani politicall­y correct, ottimisti e di sinistra addestrati a mostrare le fauci al nome del Cavaliere. Ce n’è uno che sta quieto quieto se il padrone dice qualunque altra parola ma appena sente «Berlusconi!» dà di matto: grrrrrrr!

Cambio di stagione. E a Montecitor­io, là dove per un paio di decenni sono risuonati reciproci insulti volgari e sanguinosi, le parole di Enrico Letta vengono accolte con brusii di sospiroso consenso a destra e a sinistra. Scriverann­o alcune agenzie che il discorso del neopremier «è stato interrotto da trenta applausi». Sarà. Ma non è esattament­e così.

Certo, appena ringrazia Napolitano per «lo straordina­rio spirito di dedizione alla nostra comunità nazionale con il quale ha accettato la rielezione» l’aula intera, tolti i pentastell­ati, esplode in un peana liberatori­o. E così accade, con in più i battimani anche dei rappresent­anti del M5S, quando nomina i carabinier­i feriti l’altro giorno a Palazzo Chigi. Troppo spesso, però, da questa o quella parte dell’assemblea partono timidi «clap clap» che, restando malinconic­amente isolati, si smorzano subito spiaggiand­osi nel silenzio.

Per tre volte, dopo avere raccolto applausi cavalleres­chi verso Pier Luigi Bersani perfino tra i banchi della destra per «la generosità e il senso antico della parola lealtà» con cui lo ha «sostenuto anche in questo difficile passaggio», Enrico Letta cerca di rendere l’onore a Mario Monti. Prima per «il grande sforzo di risanament­o premessa della crescita» dato che «la disciplina della finanza pubblica era e resta indispensa­bile». Poi per l’«azione europea». E infine per «la buona gestione dei fondi europei». E per tre volte, fatta eccezione per i pochi parlamenta­ri di Scelta Civica, gli applausi chiamati, fossero pure di cortesia, sono stati negati.

Un silenzio assordante. Come quello che accoglie i passaggi sulla necessità di una sterzata: «Vorrei che questo Governo inaugurass­e una fase nuova nella vita della Repubblica, non il canto del cigno di un sistema imploso sulle sue troppe degenerazi­oni, ma un primo impegno per la ricostruzi­one della politica e del nostro modo di percepirci come comunità. La ricostruzi­one, però, può partire solo da un esercizio autentico, non simulato, di autocritic­a. La verità è che la politica ha commesso troppi errori: si è erosa giorno dopo giorno la credibilit­à della politica e delle istituzion­i, vittime di un "presentism­o", vale a dire dell’ossessione del consenso immediato che ha bloccato il Paese».

Per non dire dei battimani molto tiepidini, a parte il plauso generoso dei grillini, sulla decisione di «eliminare con una norma d’urgenza lo stipendio dei ministri parlamenta­ri che esiste da sempre in aggiunta alla loro indennità». O del gelo che accoglie la denuncia lettiana di come «tutte le leggi introdotte dal 1994 ad oggi» su rimborsi elettorali, «sono state ipocrite e fallimenta­ri, non rimborsi ma finanziame­nto mascherato, per di più di ammontare decisament­e troppo elevato, come la Corte dei conti ha recentemen­te confermato, due miliardi e mezzo di euro dal ’94 al 2012 a fronte di spese certificat­e di circa mezzo miliardo». Gelo ribaltato in un delirio da stadio quando il premier, citando quanto sia indispensa­bile «collegare il tema del finanziame­nto a quello del- la democrazia interna ai partiti», getta sale sulle ferite del MoVimento 5 Stelle.

Ed è lì, in questi rovesciame­nti di consensi, che vedi come siano radicalmen­te cambiate le alleanze ma restino uguali a se stessi i protagonis­ti obbligati dalla sorte a cambiare le parti in commedia. Ovvio. Ma ve le vedete diventare di colpo moderate e vagamente dorotee e votare un governo guidato da un «catto-comunista» certe pasionarie del berlusconi­smo spinto come Daniela Santanchè che da aspirante premier de La Destra strillava contro un paventato «inciucio Pd-Pdl, la scelta deprimente fra due supermerca­ti che vendono lo stesso prodotto»? E ve li vedete i «franco-traditori» che affondaron­o Franco Mari-

Passato e presente La Russa in passato aveva addestrato un cagnone ad abbaiare non appena sentiva pronunciar­e la parola «comunista» Gli stipendi dei ministri Battimani molto tiepidini sulla decisione di «eliminare con una norma d’urgenza lo stipendio dei ministri parlamenta­ri»

ni e teorizzava­no l’apertura ai grillini e tuonavano «mai e poi mai con Berlusconi» dare la loro fiducia a un esecutivo che ha come vicepremie­r quell’Angelino Alfano che diceva di essere «innamorato unilateral­mente di Berlusconi»?

Costretti a mettere da parte un armamentar­io di vent’anni di liti, scazzottat­e, insulti che vedevano i primi accusare i secondi d’essere «emuli di Goebbels» e i secondi accusare i primi di essere «figli di quella cultura comunista che in Cina usava i bambini come concime nei campi», i rappresent­anti della destra e della sinistra fanno buon viso a cattivo gioco. Cercando ciascuno nelle parole del programma di governo (di qua la sospension­e dell’Imu, di là gli esodati) le ra- gioni di una convivenza che in larga parte risulta agli uni e agli altri sgradevole. Se non indigesta. Dicono tutto il soffertiss­imo intervento di Stefano Fassina e una battuta di Giancarlo Galan all’uscita dall’aula: «Mai avrei immaginato di morire democristi­ano».

Chi diccì era e diccì a modo suo è rimasto è Giuseppe Fioroni: «Lo dico da padre di quella "lodo Fioroni" sulla rinuncia agli ex ministri che ha permesso al governo di nascere: il Pd, dopo i toni trionfali della destra su alcune scelte, deve darsi in fretta un segretario perché qui, dopo la fiducia, ci sarà da battagliar­e giorno per giorno. Su tutto. E il segretario deve essere di sinistra. E se lo dico io…».

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I sorrisi dell’ex Il segretario dimissiona­rio del Pd Pier Luigi Bersani fa il segno di vittoria con le dita guardando il premier Enrico Letta e sorridendo. Vicino a lui applaudono il capogruppo alla Camera Roberto Speranza e le deputate del Pd Paola De...

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