Corriere della Sera

Violenza sulle donne umiliata chi denuncia

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Se una persona denuncia di essere stata rapinata, nessuno gli chiede se ha provato piacere. Se invece una donna denuncia uno stupro, le si chiede se sia stata connivente, ovvero se abbia provato gusto. La sua parola contro quella dello stupratore. Hai gridato? Hai scalciato? Hai graffiato? Ti hanno ferita? Ti hanno spaccato la testa per farti stare zitta e buona? Se non porti i segni della violenza addosso, si può sospettare che eri consenzien­te. Certo la prova migliore per provare l’innocenza è la morte. Come Maria Goretti, che è stata fatta santa. Un ragionamen­to aberrante che accompagna da tempi lontanissi­mi i processi per stupro. Dal famoso caso di Artemisia Gentilesch­i che ha denunciato il suo stupratore e ha subito un processo sadico in cui ha dovuto dimostrare, compresa una visita ginecologi­ca in aula nascosta solo da un paravento, che aveva subito e non acconsenti­to. È per questo che le donne spesso non denunciano.

Già la legge romana partiva dal presuppost­o che «vis cara puellae», ovvero la forza piace alle vergini. E quindi lo stupro veniva in qualche modo giustifica­to: si trattava solo di una forzatura verso il piacere.

Ma il piacere sessuale, erotico, non ha niente a che vedere con lo stupro, né per l’uomo né tanto meno per la donna. Se c’è un piacere è quello di umiliare chi si considera in quel momento nemico. Non a caso lo stupro è sempre stato utilizzato in guerra per sottomette­re e avvilire il popolo avversario.

Fra l’altro lo stupro colpisce simbolicam­ente il punto più potente, più sacro del corpo femminile, quello della nascita. Stuprare una donna vuol dire infatti offendere, calpestare la sua capacità di dare la vita, la sua autorità materna.

Lo stupro sembra oggi essere diventato un linguaggio quotidiano. Ogni giorno la cronaca ci racconta di stupri plurimi, singoli, nelle strade, in casa. Esemplare il caso della ragazza di Montalto: aveva 15 anni, era andata a ballare con delle sue amiche. Un giovane l’aveva convinta ad uscire per prendere una boccata d’aria, Una volta fuori l’hanno aggredita in cinque, l’hanno trascinata in un bosco e l’hanno stuprata per tutta la notte. La ragazza ha denunciato. Gli stupratori sono stati ritrovati, ma i giudici non li hanno condannati. L’opinione pubblica stava tutta dalla loro parte. Addirittur­a il sindaco ha dato un contributo comunale per pagare le spese degli avvocati della difesa. Sono passati sei anni ma niente è cambiato. La ragazza ha dovuto cambiare città. «Mi hanno preso la vita e rubato il futuro, ho sperato ogni giorno di avere giustizia, ma se avessi saputo che finiva così non li avrei mai denunciati. Ora sono stanca, non ho più la forza di combattere», racconta la ragazza stuprata.

Il paese l’ha accusata di portare la minigonna. Ovvero di avere voluto provocare: Ti piaceva attirare i maschi con vestiti succinti? La violenza te la sei cercata. Come a dire che se uno se ne va in giro con una bella macchina, deve essere condannato per incentivo al furto. Se gli rubano l’auto, la colpa è solo sua, non ha provocato il ladro?

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