Corriere della Sera

DONNE GIOVANI, RISCHI DEL NUOVO WELFARE LA SVOLTA DI E I

Le priorità del modello «blairiano» nei piani per uno Stato sociale Da sciogliere il nodo del Fiscal compact

- SEGUE DALLA PRIMA Maurizio Ferrera

Troppa ambizione, poco realismo? Il rischio c’è. Ma vi sono diverse buone idee, che meritano senz’altro un’apertura di credito.

Per creare lavoro il governo agirà soprattutt­o sul lato dell’offerta: riduzione del cuneo fiscale, revisione della riforma Fornero per recuperare flessibili­tà in entrata (in particolar­e per quanto riguarda i contratti a termine), ulteriori incentivi all’apprendist­ato, semplifica­zione burocratic­a, incisivo ripensamen­to di tutti quei regimi di autorizzaz­ione preventiva che ingabbiano le imprese e scoraggian­o gli investimen­ti esteri. Il faro che guiderà le decisioni del governo saranno, come si è detto, le opportunit­à per giovani e donne. Su questo fronte Letta può vantare una elevata credibilit­à: è stato infatti uno dei primi e dei pochi politici ad aver promosso e difeso con coerenza (anche nel centrosini­stra) il principio «blairiano » women and children first (prima le donne e i bambini). Oltre a incentivi mirati di natura fiscale, per attuare questo principio il governo effettuerà un piano di investimen­ti nella scuola, nei servizi sociali, nelle politiche di conciliazi­one. Non solo lavoro, in altre parole, ma lavoro di qualità, accompagna­to da (pari) opportunit­à di carriera e di mobilità verso l’alto, anche per gli immigrati. Vista la considerev­ole «quota rosa» con cui nasce il governo, c’è da sperare che questa volta si faccia sul serio.

Sul welfare Letta ha parlato di universali­smo attivo: allargamen­to dei diritti agli esclusi, a condizione però che i beneficiar­i s’impegnino a recuperare autonomia economica (elemento essenziale soprattutt­o nel settore degli ammortizza­tori sociali). In questo quadro è stata fatta una promessa importante: il governo considerer­à l’introduzio­ne del reddito minimo d’inseriment­o, dando priorità alle giovani famiglie povere con figli minori. Interessan­te è anche l’impegno a introdurre politiche di invecchiam­ento attivo, ossia di forme graduali (e part time) di pensioname­nto, incentivan­do forme di staffetta e tutorato intergener­azionale.

Chi conosce Enrico Letta non può dubitare né della serietà tecnica con cui si sforzerà di realizzare il programma, né del suo impegno ideale e politi- co. Vi sono però tre rischi che non vanno sottovalut­ati.

Il primo è quello dei tempi. La recessione non è per nulla finita, il disagio sociale è sempre più acuto, la fiducia di imprese e consumator­i è ai minimi. Per uscire dal gorgo ci vuole uno scatto. Durante la campagna per le elezioni del 2006, poi vinte dall’Unione, Enrico Letta si era schierato a favore di un Big Bang, di un pacchetto di misure incisive da varare subito, anche per cambiare il clima psicologic­o. Arrivarono, è vero, le lenzuolate di Bersani sul fronte delle liberalizz­azioni. Ma lo slancio del nuo- vo governo (Letta era sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio) si affievolì subito: un’esperienza da non ripetere.

Il secondo rischio è quello delle risorse. Letta ha già di fatto assunto onerosi impegni di spesa, come il rifinanzia­mento della Cig in deroga e la «soluzione» del problema esodati. Al tempo stesso ha promesso di abolire due significat­ive fonti di gettito: la rata Imu di giugno e l’aumento dell’Iva. Come far quadrare i conti? E, soprattutt­o, come reperire i fondi necessari (non sono pochi: diversi miliardi di euro) per finanziare il nuovo welfare per giovani e donne?

Infine, l’Unione Europea. È inutile negarlo: senza una revisione dei parametri di Bruxelles, uscire dalla crisi è quasi impossibil­e. Il programma illustrato ieri è pieno di «europeismi» nel lessico, nel tono, negli obiettivi. Ma Letta ha usato il linguaggio della strategia «Europa 2020», mentre oggi l’Ue decide con le regole del Fiscal compact, imperniato sul dogma dell’austerità. Il nuovo premier ha annunciato che si recherà prestissim­o a Bruxelles, Berlino e Parigi. Ottima idea: è in quelle tre capitali che oggi si giocano le partite più importanti, anche per il nostro Paese.

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