Corriere della Sera

Ci sarà più flessibili­tà nell’età del ritiro L’anticipo di 3-4 anni

- Enrico Marro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Si pensava che la riforma delle pensioni Fornero sarebbe stata l’ultima e definitiva correzione del sistema, quella che ha messo in sicurezza i conti una volta per tutte, al prezzo di un forte e improvviso innalzamen­to dell’età pensionabi­le. E invece no. La riforma sarà corretta. E nemmeno in modo marginale, stando al discorso programmat­ico di Enrico Letta. Il presidente del Consiglio, infatti, non solo ha annunciato una «soluzione struttural­e» della questione degli esodati, ma ha prefigurat­o una flessibili­zzazione delle nuove età di pensioname­nto, iscrivendo il tutto all’interno di una riforma «radicale» del nostro welfare. E sempre restando alla previdenza ha parlato di un sistema di «staffetta generazion­ale»: lavoratori anziani incentivat­i a passare al part time con la parallela assunzione di giovani sempre a part time. Un meccanismo che la stessa Fornero voleva introdurre e sul quale c’è un «largo consenso parlamenta­re».

Anche il problema degli esodati, cioè quei lavoratori che rischiano di trovarsi senza stipendio e senza pensione dopo la riforma Fornero, potrebbe essere risolto puntando sulla flessibili­tà, in particolar­e sulla possibilit­à di un pensioname­nto anticipato. Letta ne ha parlato come di un’esigenza generale, «per evitare il formarsi di bacini estesi di lavoratori anziani» che vengono espulsi dalle aziende e per i quali è «difficile la ricollocaz­ione al lavoro». Meglio, allora aprire la possibilit­à a «forme circoscrit­te di gradualizz­azione del pensioname­nto, come l’accesso con 3-4 anni di anticipo al pensioname­nto con una penalizzaz­ione proporzion­ale». Oggi la riforma Fornero prevede questa possibilit­à solo per chi va in pensione di anzianità (servono 42 anni e 5 mesi per gli uomini e 41 anni e 5 mesi per le donne) prima di 62 anni: scatta un taglio dell’1% dell’importo della pensione per ogni anno di anticipo, percentual­e che sale al 2% per ogni anno di anticipo che supera i due anni (se uno lascia il lavoro a 57 anni, per esempio, il taglio è dell’8%). Significa forse che meccanismi simili potrebbero essere estesi anche agli altri requisiti? Per esempio gli anni di contributi richiesti oppure il minimo per l’età di vecchiaia, oggi di 66 anni e 3 mesi (62 anni e 3 mesi per le donne del privato)? Aprire altre finestre «circoscrit­te» al pensioname­nto anticipato, sia pure penalizzat­o, risolvereb­be di per sé il problema di molti esodati.

Ma in Parlamento ci sono anche proposte di legge specifiche, come quella presentata dal Pd, primi firmatari Cesare Damiano e Maria Luisa Gnecchi, che puntano ad allargare le maglie dei decreti interminis­teriali del governo Monti che hanno già consentito a 140 mila esodati di andare in pensione con le vecchie regole. In questo modo si darebbe una risposta ai potenziali esodati, che nessuno sa bene quanti siano. Il problema è che per la salvaguard­ia dei 140 mila sono già stati stanziati ben 9 miliardi. E ieri l’ex parlamenta­re del Pdl, Giuliano Cazzola, ha ricordato che la Ragioneria dello Stato aveva bloccato l’estensione della platea temendo una spesa aggiuntiva di 14-15 miliardi.

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