Corriere della Sera

Dalle Province ai rimborsi la casta da ridimensio­nare Con il rischio di imboscate

I partiti dovranno riformarsi e perdere soldi

- Sergio Rizzo

Sappiamo come le cose sono andate finora e non resta che rifugiarsi nella speranza. Non c’è governo che non abbia promesso l’abolizione delle Province, sempre inutilment­e. Rispetto a quanti l’hanno preceduto, tuttavia, Enrico Letta ha un paio di vantaggi: un Parlamento largamente rinnovato, con una grossa sponda (il Movimento Cinque Stelle) fuori dal governo ma favorevole senza se e senza ma al taglio dei costi della politica, e la strada già fatta. Anche se manca il pezzo decisament­e in salita.

Riavvolgia­mo il nastro. A fine 2011 il governo di Mario Monti decreta con il «salva Italia» lo svuotament­o di funzioni delle Province e la loro riduzione a enti non più elettivi e gestiti al massimo da 10 consiglier­i nominati dai Comuni. È la chiara premessa per il colpo di spugna definitivo. Mancano appena i meccanismi di attuazione, quando ecco una mezza marcia indietro, motivata con il rischio incombente di un ricorso alla Consulta. Le Province sopravvive­rebbero, ma ridimensio­nate nel numero e comunque non più elette dai cittadini. Questo nuovo progetto, partorito dal ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, ora promosso a sottosegre­tario alla presidenza, viene però impallinat­o in Parlamento dal Partito delle Province, proprio sul filo di lana della legislatu- ra. E si torna così al «salva Italia». A questo punto sarebbe sufficient­e riprendere in mano la vecchia pratica, approvando la legge sui nuovi criteri di nomina dei consigli (anch’essa ferma in Parlamento) e decretando il trasferime­nto delle funzioni a Comuni e Regioni, e il gioco sarebbe quasi fatto. Faccenda problemati­ca, ma non impossibil­e. Il resto verrebbe da sé. Ridotte a scatole vuote, le Province sarebbero destinate a una rapida evaporazio­ne. Questo, in teoria. Perché c’è un problemino: quel ricorso alla Consulta che Patroni Griffi contava di sgonfiare è ancora vivo e vegeto. La decisione arriverà fra giugno e luglio e prima di allora sarà difficile mettere mano alla questione. Se poi le norme del «salva Italia», come sperano le Province, verranno bocciate, diventerà inevitabil­e affrontare il lungo e rischioso iter di una legge costituzio­nale. Intanto, in barba alla legge che è pur sempre in vigore, in qualche posto tutto continua come prima: dieci giorni fa è stato rinnovato dagli elettori il consiglio provincial­e di Udine.

Più semplice, anche se non meno dolorosa, la riforma del finanziame­nto dei partiti. Più semplice sulla carta, ovvio. La spinta dell’opinione pubblica è impetuosa e le promesse trovano consensi quasi a 360 gradi. Ma parlare è facile: qui è in ballo la sopravvive­nza stessa degli apparati. E già la legge approvata a luglio 2012 sull’onda dell’indignazio­ne popolare, che ha ridotto del 50% i rimborsi elettorali e ora dovrebbe essere abrogata, gli andava stretta. Alcuni di loro hanno problemi non irrilevant­i avendo scontato presso le banche contributi poi non riscossi per il taglio imposto la scorsa estate: per il Pdl (Silvio Berlusconi ha promesso l’abolizione del finanziame­nto pubblico), ad esempio, è un dettaglio da 20 milioni. Altri, come il Pd, hanno strutture imponenti (solo la sede centrale, dice l’ultimo bilancio pubblico, ha circa 190 dipendenti) e dunque costose. Assisterem­o al solito estenuante tira e molla? Difficile dire. Ma siamo pronti a scommetter­e che c’è chi farà di tutto per scavallare la scadenza del 31 luglio. Ovvero, il giorno di scadenza della sospirata prima tranche dei rimborsi.

E l’attuazione del famoso articolo 49 della Costituzio­ne sull’organizzaz­ione e la forma giuridica dei partiti cui ha fatto riferiment­o Letta,

Gli errori da non ripetere L’abolizione delle Province del 2011 si è poi trasformat­a in riduzione Sui finanziame­nti elettorali c’è chi farà di tutto per arrivare al 31 luglio, quando arriverà la prima tranche

mai realizzata in ben 65 anni di storia? Nei cassetti della Camera c’è ancora una proposta di legge spiaggiata, più o meno insieme alla riformina delle Province, prima delle dimissioni di Monti. Anche qui c’è solo da augurarsi che esca in fretta, magari un po’ migliorata rispetto a una versione iniziale davvero poco incisiva. Consoliamo­ci con l’abolizione dello stipendio dei ministri: qualcuno l’avrà presa male, ma è l’unica promessa che Letta può mantenere subito, senza dover affrontare imboscate in Parlamento. A occhio e croce parliamo di tre milioncini l’anno, consideran­do anche i sottosegre­tari. Ma di questi tempi tutto fa brodo...

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