Corriere della Sera

I tre indizi che mettono in dubbio il suo racconto Aveva una punta di trapano: gli è servita a togliere la matricola all’arma?

- Fiorenza Sarzanini

ROMA — Una punta da trapano nascosta nella borsa. È il dettaglio nuovo che conferma i dubbi sulla ricostruzi­one fatta da Luigi Preiti, l’uomo che domenica mattina ha sparato contro i due carabinier­i in servizio di sorveglian­za davanti palazzo Chigi. Proprio con quell’attrezzo l’attentator­e potrebbe aver cancellato i numeri di matricola della pistola Beretta 7,65 utilizzata per ferire i due militari. E questo dimostra che ha mentito quando ha raccontato di aver acquistato l’arma già «punzonata» al mercato clandestin­o di Genova quattro anni fa. Mentre avvalora l’ipotesi, già seguita dagli investigat­ori dell’Arma, che se la sia procurata in Calabria prima di partire alla volta di Roma. Sono tre gli indizi chiave che fanno comprender­e come il caso non sia affatto chiuso. Tre elementi che segnano la ricostruzi­one dei suoi spostament­i, fino alle 11.34 di due giorni fa. Perché la Beretta rimane al centro delle indagini. Ma poi ci sono anche il vestito e una cartina di Roma «segnata» nei punti chiave, che l’uomo custodiva nella borsa rimasta a terra dopo l’agguato. ta in tre punti. Sono le zone chiave che segnano il suo percorso dall’arrivo fino all’agguato. Adesso bisognerà capire se sia stato lui a evidenziar­lo oppure se qualcuno gliel’abbia suggerito. Non si sa che cosa abbia fatto in quel lasso di tempo trascorso fuori dall’hotel, ma non è escluso che abbia compiuto un sopralluog­o. L’esame dei filmati potrebbe aiutare a scoprirlo. Quelli già visti dimostrano che domenica mattina ha effettuato almeno due tentativi per arrivare sotto la sede del governo, prima di sparare.

Sono ancora le parole del portiere ad aiutare gli investigat­ori dell’Arma nella ricostruzi­one: «Quando è rientrato non ha chiesto la sveglia, non ha fatto colazione, non ha lasciato niente nella stanza. La domenica, verso le 9.30 è venuto da me e ha pagato il conto dicendomi che partiva. Mi sembrava tranquillo, ben vestito, con una giacca blu». Dal telefono della camera d’albergo Preiti non fa nessuna chiamata, si sta analizzand­o il suo cellulare per capire se l’abbia usato per mettersi in contatto con qualcuno. Il completo che indossa è identico a quelli utilizzati dagli addetti al- afferma che si sarebbe addirittur­a messo in posizione di tiro. Di certo c’è che Preiti ha mirato in quelle parti del corpo non protette dal giubbetto antiproiet­tile. Il brigadiere Giuseppe Giangrande viene colpito al collo. Il suo collega Francesco Negri è ferito a una gamba. «Non volevo uccidere», ha dichiarato l’attentator­e nel suo primo interrogat­orio. La dinamica sembra dimostrare il contrario.

Nei prossimi giorni i carabinier­i del Racis dovranno verificare se la Beretta avesse sparato prima e soprattutt­o se sia possibile ricostruir­e i numeri di matricola. Secondo un primo esame nella pistola sarebbero rimasti tre colpi inesplosi. «Volevo uccidermi», ha anche dichiarato Preiti. Non c’è alcun elemento che avvalori questa sua intenzione. Anzi. L’ipotesi più probabile è che volesse arrivare fin dentro l’androne di palazzo Chigi e lì aprire il fuoco. Nella borsa aveva altri nove proiettili. Possibile che la sua intenzione fosse di ricaricare l’arma durante l’azione? Misteri, dubbi, dettagli da chiarire per scoprire se Preiti è davvero il disperato che dice di essere o se invece dietro il suo gesto ci sia qualcosa di più.

fsarzanini@corriere.it

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(Fotia Roma) I rilievi Gli uomini della Scientific­a cercano reperti sul luogo della sparatoria, davanti a palazzo Chigi

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