La rissa sul tetto del mondo: sherpa contro l’alpinista Moro
Pugni e sassate al campo base sull’everest: «Volevano massacrarci, uno ha estratto il coltello»
Una lite da ballatoio sul tetto del mondo. L’ultimo eroe degli ottomila ha visto la morte mille volte, mai aveva previsto di sfiorarla ad altissima quota per motivi tanto bassi: una rissa sulla precedenza, passo io no passi tu, condominio forzato in ascensioni più affollate d’un ascensore di caseggiato. Scarponate sulle scarpate, sherpa come hooligans, cento contro tre, botte di massa e massi in faccia, una spedizione più punitiva che alpinistica dove compare, alla fine, pure la lama d’un serramanico. «Sono sconvolto», dice Simone Moro, 45 anni, venti passati a conquistare le cime più difficili, ora costretto a scendere al campo base e ad affrontare i lunghi interrogatori della polizia nepalese. Sabato mattina, il suo quinto assalto all’Everest si è interrotto a 7.200 metri per colpa d’una valanga umana, decine di portatori furibondi che fra il campo 2 e il campo 3 si sono rovesciati sull’alpinista bergamasco e i suoi due compagni di scalata. Urlando, minacciando, circondando, malmenando. Rocky horror, puro terrore sulle rocce, cinquanta minuti più duri dei 50˚ sottozero: «Quanto ci è acca- duto ha dell’incredibile — racconta Jonathan Griffith, fotografo inglese finito all’ospedale —. Ci ha s a l vato l ’ i ntervento di un’altra spedizione lì vicino, una donna che s’è messa in mezzo a farli ragionare. Se no, sono certo, ci avrebbero lapidato fino ad ammazzarci».
La rivolta degli sherpa, una cosa mai vista. A provocare l’aggressione, sulla parete ovest del Lhotse, la banalità d’un battibecco che ha versioni differenti. Secondo le guide nepalesi, tre delle quali rischiano l’arresto, Moro e
Svizzero, 36 anni, colpito alla bocca da un sasso, è stato portato in elicottero a Katmandu i suoi non avrebbero rispettato alcune corde già fissate per un’escursione turistica, decidendo di passarvi sopra e facendo cadere pezzi di ghiaccio sulla testa d’uno sherpa. Secondo gli scalatori, invece, c’entra l’esagerata ansia degli sherpa di accontentare i loro clienti: «Quando ci siamo accorti che loro stavano attrezzando la via, ci siamo spostati per non interferire. Ma uno di loro ha iniziato ad agitare la piccozza e a insultarci». Ne è nata una discussione, con una prima aggressione in parete a Ueli Ste- ck, 36 anni, alpinista svizzero che qualche anno fa una rivista votò fra i migliori d’Europa («si è dovuto aggrappare per non precipitare», raccontano). Il secondo round, al campo 2: «Quando siamo arrivati — racconta Moro —, gli sherpa ci aspettavano. Saranno stati un’ottantina. Pugni, pietre. Volevano massacrarci. Ho visto Ueli che perdeva sangue dalla bocca. Io ho preso calci mentre ero in ginocchio, uno ha tirato fuori un coltello: per fortuna, ha colpito solo il mio zaino. Ci hanno dato un’ora per andarcene, avvertendo che altrimenti ci avrebbero uccisi».
Gli umili portatori che non portano più pazienza: prima o poi doveva accadere, scrive adesso il Nepali Times. Bastano ventimila euro per organizzare un gruppo e salire in cima all’Everest. Gli sherpa accompagnano chiunque li paghi, negli ultimi quattro mesi ci sono state 32 spedizioni, 250 scalatori. «Ma la loro reazione ha radici profonde — giustifica in parte Griffith —, dipende da come i nepalesi si sentono trattati dagli occidentali in montagna». Lo stesso Moro minimizza: un lungo abbraccio con uno degli sherpa per chiude-