COLPA DI FRETTA E DENARO
aggressione degli sherpa agli alpinisti sulle pendici dell’Everest è un evento tristemente emblematico. Proprio nel sessantesimo anniversario della conquista del tetto del mondo, giunge al termine e nel peggiore dei modi, appunto in una rissa, l’antico rapporto tra cliente e guida. Nei gesti minacciosi delle più celebri guide degli ottomila naufraga il mito del montanaro come campione di abnegazione, saggezza, coraggio, altruismo. Quando il mito, in fondo ottocentesco, della guida disposta a dare la vita per il proprio cliente stava ricevendo i primi colpi sulle Alpi, proprio gli sherpa sui giganti di ghiaccio dell’Asia erano sembrati rinnovare, sia pure in una prospettiva di paternalismo coloniale, quel sogno di fraternità sportiva e di obbediente dedizione. E invece in mezzo secolo si è giunti alle mani e alle minacce di morte. Perché? Mentre violava le ultime frontiere dell’esplorazione umana, l’alpinismo ha importato nel regno incantato di Shangri-La una peste, che ha lentamente corroso usi, tradizioni, lealtà del popolo più mite del mondo. Ci hanno colpito gli Internet point a Namche Bazar e al campo base dell’Everest, ma in gioco c’era qualcosa di più sottile e sfuggente. C’erano il denaro, la competizione, la fretta, che l’Occidente ha appeso, assieme ai propri sogni e alle spedizioni commerciali, sui fianchi delle più grandi montagne del mondo. Così un incrocio su una parete di ghiaccio a 7.500 metri ha scatenato la stessa violenza di una rissa da sorpasso o da stadio. Non era mai successo neppure sulle Alpi. E il mondo ci è apparso una volta di più tristemente omologato.