Che fatica seguire quegli intrighi dell’800
Confesso che si fa non poca fatica a seguire «Tierra de Lobos», nonostante la buona volontà. Un po’ per la storia in sé (una storia di «caciquismo» ambientata sul finire del 1800: una comunità locale in mano a un proprietario terriero, usurpatore e dispotico), un po’ perché Rete4 fatica anche lei a individuare il giorno di programmazione (domenica, mercoledì, poi ancora domenica, ore 21.35), un po’ perché i feuilleton di non eccelsa scrittura esigono una totale adesione (e magari anche una lavagnetta sui cui segnare gli incroci amorosi). Ho letto che la versione italiana è stata edulcorata, con vigorosi tagli soprattutto per quel che riguarda la storia lesbo tra Isabel Lobo (Adriana Torrebajano) e la prostituta Cristina (Berta Hernandez). In Spagna, invece, è stato il momento clou. Comunque, la serie spagnola, prodotta da Multipark Ficción e Boomerang TV, è giunta intanto alla seconda stagione e racconta la storia di due giovani e prestanti fratelli Cesar (Alex Garcia) e Roman Bravo (Junio Valverde), del fratellastro Aníbal (Antonio Velázquez,) cresciuto sotto la tutela dello spietato «cacicco» Antonio Lobo (Juan Fernández), e le figlie di quest’ultimo, Almudena (Silvia Alonso), Isabel (Adriana Torrebajano) e Nieves (Dafne Fernández), Rosa, malata di tubercolosi, l’unica che riesce a smuovere il cuore di pietra paterno.
Il meccanismo è il solito: intrighi e passioni, lotta per il predominio, incroci ardenti, agnizioni, misteri, lettere rubate. La lezione di «Beautiful» si fa sentire: il racconto si trasforma così in una catena di montaggio per la produzione di gratificazioni continue e rinnovabili, specie sul versante amoroso e su quello del potere. I personaggi, nonostante i colpi di scena, non mutano mai, ma sono fissati per sempre in un «carattere» che si rinnova di puntata in puntata.