Corriere della Sera

NIENTE RATA A GIUGNO IL REBUS DI DICEMBRE

L’ipotesi delle detrazioni per i mini-redditi

- Antonella Baccaro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Abolire l’Imu sulla prima casa, cancellarl­a su tutte, sospenderl­a a giugno, ottenere la restituzio­ne di quanto si è già pagato. Quali di queste affermazio­ni è più vicina a quello che il governo Letta si appresta a fare?

La rata di giugno

Dalla discussion­e di ieri in Parlamento è emersa un’unica certezza: lunedì 17 giugno non si pagherà l’acconto dell’Imu e i Comuni si troveranno due miliardi in meno nelle loro casse rispetto alle previsioni. I tempi sono stretti: il governo dovrà agire tramite un decreto con il quale, come ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschi­ni, si farà una proroga del pagamento a fine anno. «Ma come proroga? — è insorto il Pdl —. L’Imu va abolita, non pagata tutta a dicembre!». In realtà il premier Letta ha spiegato che lo «stop» di giugno serve a prendere tempo per «elaborare una riforma complessiv­a». Prorogare la rata a dicembre (o sospenderl­a a giugno, come alcuni preferisco­no dire) consente di mantenere una copertura nel caso in cui la riforma non vedesse la luce: una sorta di «clausola di salvaguard­ia». Dopodiché i partiti hanno già detto che faranno di tutto per cambiare l’imposta perciò il pagamento di dicembre resta un’extrema ratio che tutti intendono evitare.

La prima casa

Ma vediamo quali sono le ipotesi di modifica struttural­e dell’Imu. Per il centrodest­ra va abolita sulla prima casa restituend­o quella già pagata, sempre sulla prima casa. Quanto vale quest’operazione? L’Imu sull’abitazione principale porta un incasso complessiv­o per i Comuni di circa quattro miliardi di euro all’anno. Restituire quanto è stato pagato nel 2012 raddoppia il conto, portandolo a otto miliardi.

L’effetto sui cittadini sembra scontato: un sospiro di sollievo. Ma è meglio andarci piano: il mancato pagamento dell’Imu, già da giugno, provoca un buco di cassa per i Comuni che va compensato per evitare di creare dei problemi sui pagamenti delle spese già impegnate. Ad esempio i Comuni potrebbero rischiare di non avere le risorse necessarie per attuare il decreto legge sui pagamenti dei debiti dei Comuni alle imprese. La soluzione più semplice è che il governo trasferisc­a risorse ai Comuni, già da subito con un anticipo di cassa, e poi integrando le somme mancanti. Ma si pone un problema: a quanto devono ammontare questi trasferime­nti? Come è noto, entro il 9 maggio i Comuni hanno l’obbligo di indicare al ministero dell’Economia l’aliquota Imu che intendono applicare. Dunque ogni Comune, secondo le attuali norme, può regolare entro certi limiti l’aliquota. Lo Stato dovrà rimborsare ciascun Comune tenendo conto dell’aliquota da questo scelta o dell’aliquota base? Nel primo caso i Comuni che hanno deciso di tassare maggiormen­te i cittadini ne trarrebber­o maggiori rimborsi. Nel secondo caso i Comuni dovrebbero coprire in altro modo il mancato introito, con tagli o nuove tasse. Sull’ipotesi di restituzio­ne dell’Imu già versata le idee circolate sono tutte complesse e vanno dal rimborso tramite titoli di Stato, a quello in contanti o tramite una compensazi­one fiscale.

L’alleggerim­ento

In realtà non tutti sono d’accordo sulla totale abolizione dell’Imu sulla prima casa. Lo stesso premier ha parlato di una riforma mirata a dare «ossigeno alle famiglie, soprattutt­o quelle meno abbienti». L’ipotesi sarebbe aumentare le detrazioni sull’abitazione principale per le famiglie

La restituzio­ne Le ipotesi di restituzio­ne della tassa già versata sono complesse e vanno dal rimborso tramite titoli di Stato, a quello in contanti

più numerose. Costo: 2-2,5 miliardi. Oppure rivedere i coefficien­ti di calcolo dell’Imu a favore delle categorie più deboli. A Roma il sindaco Gianni Alemanno ha già detto che l’Imu sulla prima casa non la pagheranno le famiglie con reddito Isee inferiore ai 15 mila euro.

Il catasto

Sempre a Roma Alemanno vuole coprire l’esenzione dall’Imu per i meno abbienti aumentando le rendite catastali di 175 mila famiglie. Ma quali Comuni potranno fare altrettant­o? Pochissimi. L’operazione romana è stata possibile grazie alla Finanziari­a del 2005 che consente solo ai Comuni che hanno almeno tre microzone (250 su 8 mila) di operare una perequazio­ne delle rendite catastali avvicinand­ole al valore di mercato. In Italia sono stati 16 i Comuni a operare in questo senso. E gli altri? La riforma generale degli estimi catastali, quella che avrebbe consentito a tutti i Comuni di riclassifi­care gli immobili, si è arenata al Senato.

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