NIENTE RATA A GIUGNO IL REBUS DI DICEMBRE
L’ipotesi delle detrazioni per i mini-redditi
Abolire l’Imu sulla prima casa, cancellarla su tutte, sospenderla a giugno, ottenere la restituzione di quanto si è già pagato. Quali di queste affermazioni è più vicina a quello che il governo Letta si appresta a fare?
La rata di giugno
Dalla discussione di ieri in Parlamento è emersa un’unica certezza: lunedì 17 giugno non si pagherà l’acconto dell’Imu e i Comuni si troveranno due miliardi in meno nelle loro casse rispetto alle previsioni. I tempi sono stretti: il governo dovrà agire tramite un decreto con il quale, come ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, si farà una proroga del pagamento a fine anno. «Ma come proroga? — è insorto il Pdl —. L’Imu va abolita, non pagata tutta a dicembre!». In realtà il premier Letta ha spiegato che lo «stop» di giugno serve a prendere tempo per «elaborare una riforma complessiva». Prorogare la rata a dicembre (o sospenderla a giugno, come alcuni preferiscono dire) consente di mantenere una copertura nel caso in cui la riforma non vedesse la luce: una sorta di «clausola di salvaguardia». Dopodiché i partiti hanno già detto che faranno di tutto per cambiare l’imposta perciò il pagamento di dicembre resta un’extrema ratio che tutti intendono evitare.
La prima casa
Ma vediamo quali sono le ipotesi di modifica strutturale dell’Imu. Per il centrodestra va abolita sulla prima casa restituendo quella già pagata, sempre sulla prima casa. Quanto vale quest’operazione? L’Imu sull’abitazione principale porta un incasso complessivo per i Comuni di circa quattro miliardi di euro all’anno. Restituire quanto è stato pagato nel 2012 raddoppia il conto, portandolo a otto miliardi.
L’effetto sui cittadini sembra scontato: un sospiro di sollievo. Ma è meglio andarci piano: il mancato pagamento dell’Imu, già da giugno, provoca un buco di cassa per i Comuni che va compensato per evitare di creare dei problemi sui pagamenti delle spese già impegnate. Ad esempio i Comuni potrebbero rischiare di non avere le risorse necessarie per attuare il decreto legge sui pagamenti dei debiti dei Comuni alle imprese. La soluzione più semplice è che il governo trasferisca risorse ai Comuni, già da subito con un anticipo di cassa, e poi integrando le somme mancanti. Ma si pone un problema: a quanto devono ammontare questi trasferimenti? Come è noto, entro il 9 maggio i Comuni hanno l’obbligo di indicare al ministero dell’Economia l’aliquota Imu che intendono applicare. Dunque ogni Comune, secondo le attuali norme, può regolare entro certi limiti l’aliquota. Lo Stato dovrà rimborsare ciascun Comune tenendo conto dell’aliquota da questo scelta o dell’aliquota base? Nel primo caso i Comuni che hanno deciso di tassare maggiormente i cittadini ne trarrebbero maggiori rimborsi. Nel secondo caso i Comuni dovrebbero coprire in altro modo il mancato introito, con tagli o nuove tasse. Sull’ipotesi di restituzione dell’Imu già versata le idee circolate sono tutte complesse e vanno dal rimborso tramite titoli di Stato, a quello in contanti o tramite una compensazione fiscale.
L’alleggerimento
In realtà non tutti sono d’accordo sulla totale abolizione dell’Imu sulla prima casa. Lo stesso premier ha parlato di una riforma mirata a dare «ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti». L’ipotesi sarebbe aumentare le detrazioni sull’abitazione principale per le famiglie
La restituzione Le ipotesi di restituzione della tassa già versata sono complesse e vanno dal rimborso tramite titoli di Stato, a quello in contanti
più numerose. Costo: 2-2,5 miliardi. Oppure rivedere i coefficienti di calcolo dell’Imu a favore delle categorie più deboli. A Roma il sindaco Gianni Alemanno ha già detto che l’Imu sulla prima casa non la pagheranno le famiglie con reddito Isee inferiore ai 15 mila euro.
Il catasto
Sempre a Roma Alemanno vuole coprire l’esenzione dall’Imu per i meno abbienti aumentando le rendite catastali di 175 mila famiglie. Ma quali Comuni potranno fare altrettanto? Pochissimi. L’operazione romana è stata possibile grazie alla Finanziaria del 2005 che consente solo ai Comuni che hanno almeno tre microzone (250 su 8 mila) di operare una perequazione delle rendite catastali avvicinandole al valore di mercato. In Italia sono stati 16 i Comuni a operare in questo senso. E gli altri? La riforma generale degli estimi catastali, quella che avrebbe consentito a tutti i Comuni di riclassificare gli immobili, si è arenata al Senato.