Obama: chiuderò Guantánamo Ma sulla Siria prende tempo
«Usate armi chimiche, però non sappiamo ancora da chi»
NEW YORK — «Vorrei chiudere Guantánamo: quel centro speciale di detenzione non ha più motivo di essere e danneggia l’immagine degli Stati Uniti, ma il Congresso si oppone. Riproverò». Sentiero stretto per Barack Obama anche sulla Siria dove ammette che è stata superata la «linea rossa» dell’uso delle armi chimiche. Ma per adesso la Casa Bianca non interviene: «Abbiamo ancora un quadro incompleto, decisioni affrettate possono essere controproducenti». Presidente sulla difensiva anche sulle indagini dopo l’assassinio dell’ambasciatore Stevens a Bengasi, sulla riforma sanitaria («sento giudizi apocalittici, in realtà il grosso è fatto»), sui tagli al bilancio e sulla strage di Boston: difende l’operato dell’Fbi e mostra di apprezzare la collaborazione con la Russia, evitando di citare la mancata risposta di Mosca a una richiesta di chiarimenti dell’intelligence Usa sui fratelli Tsarnaev, dopo la prima informativa ricevuta.
Reduce da due sconfitte al Congresso sul porto d’armi e la politica di bilancio, alle prese con una crisi siriana sempre più intrattabile, impegnato a gestire il duro risveglio di un Paese che, sconfitta Al Qaeda, si scopre vulnerabile agli attacchi di un terrorismo domestico di «cani sciolti» difficili da intercettare, Barack Obama ha affrontato ieri una conferenza stampa che è stata per lui un calvario. Solo sei domande, ma una più dura dell’altra. E già alla terza — davanti al corrispondente dell’Abc che lo accusava di aver già perso mordente nel confronto col Congresso quando il suo secondo mandato ha appena 100 giorni di vita — il presidente è sbottato: «Se è come dici tu posso anche fare fagotto e andarmene a casa». Poi ha condito il suo amaro sarcasmo con una celebre citazioni di Mark Twain: «Le voci sul mio decesso potrebbero essere leggermente esagerate».
L’unica battuta in un incontro breve — appena 47 minuti — ma denso di spiegazioni significative e considerazioni amare. La novità principale è proprio quella di Guantánamo: difesa la scelta di sottoporre i 166 detenuti in sciopero della fame a da limentazione for zata («non voglio che muoiano»), Obama ha ammesso di non essere riuscito a realizzare quello che era il suo programma fin dall’inizio del primo mandato: chiudere il centro di detenzione creato nell’era Bush nell’enclave Usa sull’isola di Cuba.
«Dieci anni fa poteva anche essere comprensibile — ha concesso il presidente — ma ormai la giustizia civile è in grado di processare chi è sospettato di terrorismo, lo abbiamo già visto con quelli che sono stati catturati negli Stati Uniti. L’esistenza stessa di questa struttura danneggia gli interessi americani. Prenderò una nuova iniziativa da- vanti al Congresso per cercare di porre fine a questa situazione».
Quanto alla Siria Obama, che a suo tempo aveva minacciato reazioni durissime in caso di uso di armi chimiche, ora sostiene che temporeggiare è un gesto di responsabilità, non di debolezza. Nessuno pensa a un’invasione americana del Paese mediorientale, ma i repubblicani vorrebbero la creazione di una «zona di non volo» sul cielo di Damasco e chiedono che vengano armati i ribelli. Il presidente replica che fin qui gli Stati Uniti sono stati quelli che hanno aiutato di più la resistenza, anche se non inviando direttamente armi. E aggiunge che lanciare un intervento più massiccio quando non è ancora chiaro chi ha usato davvero i gas, dove e quando, rischia di essere controproducente: «Muoversi senza avere in mano prove schiaccianti rende più difficile coagulare il necessario sostegno della comunità internazionale».
Il presidente, che ha convocato all’improvviso questa conferenza per rispondere alle critiche dell’associazione dei giornalisti accreditati alla Casa Bianca che l’avevano accusato di comunicare poco con la stampa, ha cercato di usare l’occasione anche per mandare qualche
Mordente A un reporter che lo accusa di aver perso mordente: «Se è come dici tu posso anche fare fagotto e andarmene a casa»
messaggio in chiave interna, soprattutto sulla sanità e la stretta fiscale. Quanto all’attentato di Boston, si è preoccupato soprattutto di difendere l’Fbi che aveva sottovalutato l’allarme sui due fratelli di origine cecena ricevuto da Mosca: «Non abbiamo ignorato l’avvertimento: abbiamo indagato, abbiamo interrogato l’interessato». In una società democratica e aperta non è possibile perseguire chiunque si esprime in modo allarmante. E casi individuali di comportamenti violenti, purtroppo, ci saranno sempre.