Corriere della Sera

E la linea rossa si sposta più avanti

- Di MASSIMO GAGGI

Barack Obama dice alla stampa quello che gli analisti avevano già intuito: gli Stati Uniti non hanno intenzione di farsi trascinare direttamen­te in un altro conflitto e per ora temporeggi­ano anche davanti alle prove di impiego di armi chimiche (gas sarin) contro i ribelli. Prove ancora parziali, certo, la responsabi­lità diretta di Damasco non è ancora provata al cento per cento, ma il problema non è solo questo. Scartato un intervento con le truppe sul terreno, restano le opzioni della «no fly zone» e quella di armare i ribelli. Ma anche a questo livello le difficoltà non sono poche: le difese antiaeree siriane sono temibili. Israele ha effettuato un attacco contro un obiettivo in Siria alcuni mesi fa, è vero, ma dalle analisi condotte in seguito risulta che l’aereo che ha lanciato l’ordigno l’ha fatto dal cielo del Libano, senza mai entrare in territorio siriano. Distrugger­e i missili fissi di Damasco è possibile, ma le batterie antiaeree mobili sono difficilis­sime da individuar­e. E questo sistema difensivo, creato grazie all’aiuto di Mosca, pare tuttora gestito col contributo «in loco» di molti tecnici russi che potrebbero essere uccisi negli attacchi. Un incidente diplomatic­o che Obama vuole evitare, soprattutt­o ora che ha bisogno di Mosca nelle indagini sui terroristi ceceni che si è trovato in casa. Armare i ribelli? Anche qui bisogna ragionare con cautela, pensano alla Casa Bianca, ancora scottati come sono dalla scoperta che le armi usate dai terroristi islamici negli attacchi in Mali erano le stesse inviate ai ribelli libici per sostenere la rivolta anti Gheddafi. E, come dimostrato da diverse inchieste sulla Siria pubblicate dalla stampa internazio­nale, tra i gruppi ribelli che combattono contro Assad ormai prevalgono i gruppi jihadisti vicini a ciò che resta di Al Qaeda. Mentre le organizzaz­ioni che condividon­o i valori di libertà dell’Occidente hanno un peso, anche militare, ridottissi­mo. Per gli Usa, come per il resto della comunità internazio­nale, quello della Siria è stato fin dall’inizio un rebus pressoché insolubile. Obama ha un sentiero strettissi­mo davanti a sé, ma si è reso la vita più difficile quando ha lanciato l’avvertimen­to ad Assad: non superare la linea rossa, l’uso di armi chimiche «inneschere­bbe conseguenz­e enormi». Se Washington ora non reagisce con forza, rischia di mandare un segnale sbagliato, rinunciata­rio, all’Iran e alla Corea del Nord, anche loro messe sotto pressione da Washington per i loro programmi nucleari.

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