La pistola puntata a mezzo metro dalla testa del carabiniere
Intorno a lui turisti e curiosi: ecco il momento in cui il manovale apre il fuoco contro i militari
ROMA — Finché non ha alzato il braccio per mirare alla testa del brigadiere Giangrande, nessuno tra la piccola folla colorata di turisti, curiosi e militari s’era accorto di Luigi Preiti e delle sue intenzioni. Ma al primo sparo, col carabiniere che crolla a terra e lui che continuava a fare fuoco col braccio puntato contro le altre divise, tutti cominciano a sciamare: chi correndo, chi camminando all’indietro, chi gettandosi a terra. La 7,65 impugnata dal carpentiere aspirante killer sputa altri sei proiettili in successione rapidissima, fino a scaricarsi. L’uomo continua a tenere il braccio teso, ma probabilmente i colpi vanno più in basso di dove lui avrebbe voluto; al momento dello sparo la pistola provoca il cosiddetto «strappo» modificando la traiettoria. Così Giangrande viene centrato al collo anziché al capo, nonostante la canna della Beretta fosse a poche decine di centimetri da lui; il carabiniere scelto Negri resta ferito alle gambe, mentre tenta di ripararsi dietro la garitta che pure viene scalfita da due proiettili; il vicebrigadiere Murrighile, dopo aver tentato di andare incontro a Preiti per fermarlo, cade mentre indietreggia per un colpo al torace, che buca solo il giubbotto di servizio.
Sono passati pochi secondi, il caricatore della pistola è vuoto. Preiti non prova a riempirlo, né prova a rivolgere l’arma verso se stesso prima dell’ultimo colpo. Comincia a correre verso piazza Montecitorio, da dove era arrivato, ma riesce a percorrere meno di cinque metri: a sbarragli la strada c’è il furgone dei carabinieri, lui prova a infilarsi nella galleria di palazzo Wedekind, l’edificio che chiude la piazza, ma non ci riesce. Murrighile che s’è rialzato e gli altri intorno al furgone gli saltano addosso e lo bloccano a terra. Fine della fuga, che chissà dove sarebbe proseguita, e per quanto. E fine del film.
È stata una telecamera piazzata sul palazzo di Montecitorio lungo via dell’Impresa, la stradina stretta dove s’affaccia il portone d’accesso alla residenza del presidente della Camera, a immortalare le immagini della tentata strage. Che giuridicamente la Procura di Roma ha tradotto nell’imputazione di triplice tentato omicidio. La prova che Preiti voleva uccidere, per i pubblici ministeri, sta proprio nel filmato girato da quella piccola telecamera, alla quale l’uomo non aveva evidentemente fatto caso; o forse non se n’è curato, preoccupato solo dal portare a termine il «gesto eclatante» di cui ha parlato nel primo interrogato- rio, e che secondo l’accusa altro non era che la volontà di ammazzare. Perché altrimenti non si mira alla testa della vittima da meno di un metro di distanza, come si vede abbastanza chiaramente nel filmato.
Il difensore di Preiti, l’avvocato d’ufficio Raimondo Paparatti, sostie- ne che il suo assistito non aveva l’«intenzione omicida» contestata dai pm. Ieri è andato a incontrarlo in carcere, e all’uscita ha spiegato: «Voleva colpire i politici, poi viste le transenne e le forze dell’ordine ha perso la testa. Ha perfino immaginato di sentire la voce della madre e ha sparato, ma giura che non voleva uccidere. È molto provato psicologicamente, è molto dispiaciuto, continua a chiedere notizie sulle condizioni dei carabinieri feriti e si augura che possano guarire il prima possibile». L’accenno alle voce della madre che gli rimbombava nella testa sembra il presupposto di un’istanza di perizia psichiatrica confermata dallo stesso difensore: «Le condizioni di Preiti sono tali da indurci a chiederla; è necessario accertare le sue condizioni al momento del fatto, e solo l’indagine medico-legale potrà dare le risposte».
La Procura s’è già detta contraria, anche perché in passato l’indagato non ha mai sofferto di alcuna malattia psichica. Di recente era depresso per le vicissitudini familiari e la disoccupazione «da lui attribuita all’attuale situazione politica»; di qui l’azione premeditata contro i nuovi ministri, che poi s’è concretizzata contro i carabinieri. Ma tutto è avvenuto in perfetta lucidità, insiste l’accusa.
Per gli inquirenti e gli investigatori dell’Arma quell’uomo era perfettamente in grado di intendere e di volere, come dimostrano gli altri tasselli dell’indagine ricostruiti finora. Che seppure non hanno sciolto tutti i dubbi, per adesso confermano l’ipotesi di un’azione tanto sconsiderata quanto solitaria. Preiti voleva compierla senza essere disturbato e senza lasciare tracce della sua presenza, se da mezzogiorno di sabato 27 non ha risposto alle telefonate del padre e quando è arrivato in piazza Colonna aveva il cellulare spento. Né tra sabato e domenica risulterebbero altre chiamate, in entrata o in uscita. I soldi per il viaggio li ha ricevuti in prestito da un amico, tale Giuseppe, che ha confermato di avergli consegnato 300 euro il 24 aprile. Preiti gli aveva detto che doveva partire per incontrare il figlio. Invece è andato a sparare sotto i palazzi del potere, ripreso da una telecamera che ora è diventata il principale atto d’accusa contro di lui.