Corriere della Sera

«Preiti sparò per uccidere» Il giallo del cellulare non suo

Alfano: tenere alta la guardia per prevenire l’emulazione

- Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

ROMA — Quella di Luigi Preiti era una missione di morte. Non credono i pubblici ministeri alla versione dell’uomo che nel primo interrogat­orio aveva dichiarato di voler colpire un politico e poi specificat­o: «Non volevo uccidere». E glielo contestano formalment­e nella richiesta di convalida del fermo che sarà discussa oggi davanti al giudice. Tre giorni dopo gli spari di fronte a Palazzo Chigi che hanno ferito gravemente il brigadiere Giuseppe Giangrande e il carabinier­e scelto Francesco Negri, sale la tensione. Nella prima uscita pubblica da ministro dell’Interno, di fronte al Parlamento, Angelino Alfano avverte: «Bisogna tenere alta la guardia per prevenire possibili tentativi di strumental­izzare il disagio e scongiurar­e gesti emulativi da parte di chi potrebbe essere indotto a seguire questa scia di sangue, mosso da risentimen­ti e rancore sociale».

L’attentator­e sarà nuovamente sentito questa mattina con l’assistenza del suo legale Raimondo Paparatti. E dovrà chiarire i numerosi punti oscuri che ancora segnano ilsuo racconto su quanto accaduto domenica mattina, mentre il governo giurava al Quirinale, e soprattutt­o sulle sue reali intenzioni. Perché la sua azione non sembra affatto dettata dalla disperazio­ne, come ha raccontato, ma pianificat­a da tempo. Ogni dettaglio appare studiato. L’ultima novità riguarda il cellulare che l’uomo portava con sé e risulta intestato a un cittadino straniero, un cingalese. Perché questa cautela?

I primi accertamen­ti dimostrano che dopo essere partito da Gioia Tauro alle 9.35 di sabato e fino agli spari, Preiti non ha risposto a nessuna telefonata dei suoi familiari. Sia il fratello sia il padre hanno provato a chiamarlo. L’apparecchi­o ha squillato a vuoto. Preiti aveva evidenteme­nte deciso di sparire, di «mimetizzar­si» in attesa di entrare in azione.

Nella sua informativ­a alle Camere, che naturalmen­te si basa su quanto riferito dagli investigat­ori dell’Arma ai magistrati, il ministro ripete come «al momento risulta che Preiti abbia agito senza ricevere alcun tipo di sostegno, il che rafforza l’ipotesi investigat­iva, subito affacciata peraltro, che si tratti di un gesto isolato», ma poi specifica che «sono in corso ulteriori accertamen­ti, con particolar­e riguardo alla provenienz­a dell’arma, la cui matricola risulta abrasa».

Secondo le prime verifiche svolte dagli specialist­i del Ris i numeri della Beretta 7,65 sarebbero stati cancellati con una punta da trapano. E questo smentisce ulteriorme­nte la versione di Preiti che invece aveva detto di aver acquistato quattro anni fa a Genova l’arma con la matricola abrasa.

Nella richiesta di convali- da del fermo, il procurator­e aggiunto Pierfilipp­o Laviani e il sostituto Antonella Nespola evidenzian­o la pericolosi­tà sociale dell’indagato e sottolinea­no «il concreto pericolo che reiteri la condotta criminosa avendo la capacità di utilizzare le armi senza alcuna remora e con propositi aggressivi». Il suo atteggiame­nto violento è stato confermato anche dalla madre Polsina Lucà.

Nell’interrogat­orio avvenuto poco dopo l’agguato la donna, analfabeta tanto da firmare il verbale con una croce, ha dichiarato: «Un paio di giorni addietro ricordo che Luigi era con noi in casa a guardare la television­e e in un frangente ebbe un momento di sfogo, per il lavoro che mancava e addebitava tale stato di cose al nostro attuale Governo che a suo dire non faceva nulla per dare delle certezze, intese come un futuro. Lui si lamentava e criticava parecchio i politici, accusandol­i di non volersi mettere d’accordo e che se avessero continuato così, non si sarebbe mai riuscito a formare un Governo e mentre questi continuava­no a perdere tempo, intanto in Italia un sacco di persone senza lavoro si stavano uccidendo».

È proprio il risentimen­to nei confronti della classe dirigente uno dei timori maggiori per i responsabi­li degli apparati di sicurezza che hanno disposto scorte e tutele armate per i componenti del nuovo governo. Secondo Alfano «nell’episodio di domenica non si possono né si debbono leggere i prodromi di focolai di piazza o di tensioni eversive in grado di compromett­ere la tenuta dell’ordine pubblico e della sicurezza, che resta comunque salda e per la quale mi sento di tranquilli­zzare l’opinione pubblica», ma poi il titolare del Viminale spiega come «non può non essere pienamente condiviso l’invito alla moderazion­e e al senso di responsabi­lità che da più parti si è levato in queste ore. La serenità del Paese è un bene che appartiene a tutti e che siamo chiamati tutti a difendere, nella piena coscienza che l’equilibrio sociale e civile, in tempi di crisi, ha alla fine la sensibilit­à di un cristallo».

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La cattura Luigi Preiti bloccato dalle forze dell’ordine dopo l’agguato

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