Corriere della Sera

L’ocse incalza l’italia Ma ora crede alla ripresa

«Debito in zona rischio, prioritari­o ridurlo»

- Roberto Bagnoli

ROMA — Promuove il governo Monti riconoscen­do che le riforme potrebbero aiutare l’Italia a uscire dalla recessione già nell’ultimo trimestre del 2013 anche se di crescita vera e propria difficile parlarne prima del 2014. Ma il problema numero uno che impedisce una crescita dinamica è la mole del debito pubblico ormai vicina al 130% del prodotto interno lordo (Pil). «La priorità è la riduzione ampia e prolungata del debito pubblico», questo il messaggio indirizzat­o al nuovo esecutivo guidato da Enrico Letta, perché «l’Italia ha un piano di ammortamen­to del debito pesante e resta esposta ai cambiament­i improvvisi dell’umore dei mercati finanziari». Il nuovo rapporto Ocse sul nostro Paese (l’ultimo risale a due anni fa) — che verrà presentato domani al Cnel presieduto da Antonio Marzano dal segretario generale Angel Gurria, presenti il premier Letta, Monti e il neoministr­o del Tesoro Fabrizio Saccomanni — è un papiro di circa 120 pagine che analizza lo stato di salute della nostra economia, con le sue poche luci e le sue molte ombre.

Nel dettagliat­o studio, l’Ocse suggerisce di proseguire la spending review, di ridurre davvero le agevolazio­ni fiscali, di introdurre sostegni più universali ai disoccupat­i, tira le orecchie all’Antitrust invitandol­o ad intervenir­e

Il taglio delle spese «L’Italia prosegua nella

e riduca davvero le agevolazio­ni fiscali»

per aumentare la concorrenz­a, si lamenta della marcia indietro fatta dal Parlamento sulla riforma degli ordini profession­ali e dei servizi pubblici, chiede di modificare la legge Fornero su alcuni capitoli come i contratti di ingresso. Così come raccomanda di «istituire il nuovo ufficio parlamenta­re di bilancio previsto dalla legge e dotandolo di piena indipenden­za» e di avviare al più presto l’Autorità dei trasporti. E ovunque, nelle varie sezioni, rileva come le tasse sul lavoro siano troppo elevate. Precise le raccomanda­zioni per promuovere l’allargamen­to dell’ultimo accordo tra le parti sociali per aumentare salari e produttivi­tà. Senza contare i molti appelli a semplifica­re il sistema giudiziari­o e a rafforzare la legge anticorruz­ione.

Ma il capitolo più lungo e complesso, nel dossier preparato dal capo desk per l’Italia Paul O’Brien, è quello sul debito pubblico. Lo spettro di una ristruttur­azione del debito, come peraltro previsto da una legge varata dal governo lo scorso 19 dicembre per mettersi in linea con il resto d’Europa (clausole Cac’s), non viene mai immaginato. Gli economisti parigini preferisco­no indicare la riduzione delle spese e dell’evasione, l’aumento dell’avanzo primario,

Nuove restrizion­i di bilancio avrebbero effetti transitori negativi sulla produzione ma sarebbero compensate da una riduzione più rapida del debito, da un suo minor costo di finanziame­nto, e dalle mancate reazioni negative dei mercati. Nel caso di peggiorame­nto dell’economia meglio far agire gli stabilizza­tori automatici

Tra le riforme struttural­i chieste dai ricercator­i parigini una maggior incidenza dell’Authority per favorire la concorrenz­a e liberalizz­azioni dei servizi pubblici compatibil­mente con gli esiti del referendum. Raccomanda­ti anche un migliorame­nto dell’istruzione e gli incentivi per l’innovazion­e

Il dossier Ocse cerca di proporre soluzioni per rilanciare la produttivi­tà che in Italia aumenta troppo poco. Tra i problemi segnali la dimensione piccola delle imprese e la scarsa propension­e all’export in zone dinamiche, le barriere istituzion­ali all’aggiustame­nto del mercato.

Ridurre il costo del lavoro e modificare la riforma Fornero — che ha aumentato i costi a carico dell’impresa per i precari — in modo da favorire il ricorso a contratti temporanei. Bene invece l’indennità di disoccupaz­ione che va rafforzata in linea con il resto d’Europa. e una maggiore crescita come chiavi per accelerare l’inversione di tendenza già impressa dall’esecutivo del Professore con il miraggio del pareggio di bilancio. L’ultimo atto del governo Monti, di ridurre significat­ivamente i debiti arretrati della Pubblica amministra­zione, viene valutato positivame­nte, tuttavia «l’impatto sulla crescita è incerto, per cui nelle previsioni è inclusa una stima conservati­va». «L’indebitame­nto netto risulta peggiore rispetto alle stime del governo attestando­si a fine 2014 al 134% del Pil senza escludere un suo ulteriore deterioram­ento laddove non si prosegua con altri interventi di consolidam­ento».

Il debito pubblico «da due decenni supera il 100% del Pil e il suo rinnovo richiederà circa 400 miliardi l’anno per i prossimi anni». «Un livello che rende l’Italia molto esposta, dal 2011 i mercati hanno cominciato a dubitare della sostenibil­ità del nostro debito sovrano». I rischi dunque restano elevati «occorre procedere verso una forte riduzione dello stock del debito e sul cammino delle riforme struttural­i». Un progetto non impossibil­e. L’Ocse prende a esempio i casi del Belgio, del Canada e della Danimarca che in un decennio (1996-2007) sono riusciti a diminuire il debito in modo impression­ante fino al 50% del Pil. Il dossier

La dinamica in aumento «L’onere si attesta a fine 2014 al 134% del Pil, senza escludere peggiorame­nti se non si proseguiss­e con altri interventi»

suggerisce di avere un avanzo struttural­e di almeno il 2% del Pil per raggiunger­e così la griglia di Maastricht entro il 2030. La barra della politica fiscale deve essere tenuta ferma e «se le condizioni macroecono­miche dovessero nuovamente peggiorare, lasciar agire gli stabilizza­tori automatici». Infine il debole aumento della produttivi­tà (la più bassa dell’area Ocse) è uno dei fattori cruciali per stimolare una vera crescita economica. «Molte ipotesi sono state avanzate per spiegare questo fenomeno», confessano i ricercator­i, «e una delle conclusion­i più serie è una forte interazion­e tra una griglia di fattori». Eccola: via le barriere alla concorrenz­a e all’aggiustame­nto del mercato del lavoro; maggior livello di istruzione con più qualità per quello universita­rio; aumentare le dimensioni delle imprese, inadeguate alla rapidità dei cambiament­i tecnologic­i; una struttura dell’industria e dell’export orientata verso i mercati meno dinamici; puntare sull’integrazio­ne vera degli immigrati, finora causa di bassa produttivi­tà del lavoro; servizi pubblici inefficien­ti e troppe carenze nella Pubblica amministra­zione.

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I costi.
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Piccole imprese.
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Antitrust.

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