L’ocse incalza l’italia Ma ora crede alla ripresa
«Debito in zona rischio, prioritario ridurlo»
ROMA — Promuove il governo Monti riconoscendo che le riforme potrebbero aiutare l’Italia a uscire dalla recessione già nell’ultimo trimestre del 2013 anche se di crescita vera e propria difficile parlarne prima del 2014. Ma il problema numero uno che impedisce una crescita dinamica è la mole del debito pubblico ormai vicina al 130% del prodotto interno lordo (Pil). «La priorità è la riduzione ampia e prolungata del debito pubblico», questo il messaggio indirizzato al nuovo esecutivo guidato da Enrico Letta, perché «l’Italia ha un piano di ammortamento del debito pesante e resta esposta ai cambiamenti improvvisi dell’umore dei mercati finanziari». Il nuovo rapporto Ocse sul nostro Paese (l’ultimo risale a due anni fa) — che verrà presentato domani al Cnel presieduto da Antonio Marzano dal segretario generale Angel Gurria, presenti il premier Letta, Monti e il neoministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni — è un papiro di circa 120 pagine che analizza lo stato di salute della nostra economia, con le sue poche luci e le sue molte ombre.
Nel dettagliato studio, l’Ocse suggerisce di proseguire la spending review, di ridurre davvero le agevolazioni fiscali, di introdurre sostegni più universali ai disoccupati, tira le orecchie all’Antitrust invitandolo ad intervenire
Il taglio delle spese «L’Italia prosegua nella
e riduca davvero le agevolazioni fiscali»
per aumentare la concorrenza, si lamenta della marcia indietro fatta dal Parlamento sulla riforma degli ordini professionali e dei servizi pubblici, chiede di modificare la legge Fornero su alcuni capitoli come i contratti di ingresso. Così come raccomanda di «istituire il nuovo ufficio parlamentare di bilancio previsto dalla legge e dotandolo di piena indipendenza» e di avviare al più presto l’Autorità dei trasporti. E ovunque, nelle varie sezioni, rileva come le tasse sul lavoro siano troppo elevate. Precise le raccomandazioni per promuovere l’allargamento dell’ultimo accordo tra le parti sociali per aumentare salari e produttività. Senza contare i molti appelli a semplificare il sistema giudiziario e a rafforzare la legge anticorruzione.
Ma il capitolo più lungo e complesso, nel dossier preparato dal capo desk per l’Italia Paul O’Brien, è quello sul debito pubblico. Lo spettro di una ristrutturazione del debito, come peraltro previsto da una legge varata dal governo lo scorso 19 dicembre per mettersi in linea con il resto d’Europa (clausole Cac’s), non viene mai immaginato. Gli economisti parigini preferiscono indicare la riduzione delle spese e dell’evasione, l’aumento dell’avanzo primario,
Nuove restrizioni di bilancio avrebbero effetti transitori negativi sulla produzione ma sarebbero compensate da una riduzione più rapida del debito, da un suo minor costo di finanziamento, e dalle mancate reazioni negative dei mercati. Nel caso di peggioramento dell’economia meglio far agire gli stabilizzatori automatici
Tra le riforme strutturali chieste dai ricercatori parigini una maggior incidenza dell’Authority per favorire la concorrenza e liberalizzazioni dei servizi pubblici compatibilmente con gli esiti del referendum. Raccomandati anche un miglioramento dell’istruzione e gli incentivi per l’innovazione
Il dossier Ocse cerca di proporre soluzioni per rilanciare la produttività che in Italia aumenta troppo poco. Tra i problemi segnali la dimensione piccola delle imprese e la scarsa propensione all’export in zone dinamiche, le barriere istituzionali all’aggiustamento del mercato.
Ridurre il costo del lavoro e modificare la riforma Fornero — che ha aumentato i costi a carico dell’impresa per i precari — in modo da favorire il ricorso a contratti temporanei. Bene invece l’indennità di disoccupazione che va rafforzata in linea con il resto d’Europa. e una maggiore crescita come chiavi per accelerare l’inversione di tendenza già impressa dall’esecutivo del Professore con il miraggio del pareggio di bilancio. L’ultimo atto del governo Monti, di ridurre significativamente i debiti arretrati della Pubblica amministrazione, viene valutato positivamente, tuttavia «l’impatto sulla crescita è incerto, per cui nelle previsioni è inclusa una stima conservativa». «L’indebitamento netto risulta peggiore rispetto alle stime del governo attestandosi a fine 2014 al 134% del Pil senza escludere un suo ulteriore deterioramento laddove non si prosegua con altri interventi di consolidamento».
Il debito pubblico «da due decenni supera il 100% del Pil e il suo rinnovo richiederà circa 400 miliardi l’anno per i prossimi anni». «Un livello che rende l’Italia molto esposta, dal 2011 i mercati hanno cominciato a dubitare della sostenibilità del nostro debito sovrano». I rischi dunque restano elevati «occorre procedere verso una forte riduzione dello stock del debito e sul cammino delle riforme strutturali». Un progetto non impossibile. L’Ocse prende a esempio i casi del Belgio, del Canada e della Danimarca che in un decennio (1996-2007) sono riusciti a diminuire il debito in modo impressionante fino al 50% del Pil. Il dossier
La dinamica in aumento «L’onere si attesta a fine 2014 al 134% del Pil, senza escludere peggioramenti se non si proseguisse con altri interventi»
suggerisce di avere un avanzo strutturale di almeno il 2% del Pil per raggiungere così la griglia di Maastricht entro il 2030. La barra della politica fiscale deve essere tenuta ferma e «se le condizioni macroeconomiche dovessero nuovamente peggiorare, lasciar agire gli stabilizzatori automatici». Infine il debole aumento della produttività (la più bassa dell’area Ocse) è uno dei fattori cruciali per stimolare una vera crescita economica. «Molte ipotesi sono state avanzate per spiegare questo fenomeno», confessano i ricercatori, «e una delle conclusioni più serie è una forte interazione tra una griglia di fattori». Eccola: via le barriere alla concorrenza e all’aggiustamento del mercato del lavoro; maggior livello di istruzione con più qualità per quello universitario; aumentare le dimensioni delle imprese, inadeguate alla rapidità dei cambiamenti tecnologici; una struttura dell’industria e dell’export orientata verso i mercati meno dinamici; puntare sull’integrazione vera degli immigrati, finora causa di bassa produttività del lavoro; servizi pubblici inefficienti e troppe carenze nella Pubblica amministrazione.