Capolinea Mourinho
Impresa mancata con il Real: «Andrò dove mi amano»
MADRID – Qualcosa di storico doveva accadere, aveva previsto il nuovo guru del calcio mondiale Jurgen Klopp. Non è stato la rimonta epica del Real Madrid, lo è stato il ritorno in finale di Champions dopo 16 anni di questo Borussia Dortmund magnifico, giovane e moderno, uscito illeso da una splendida partita: elettrica subito quando il Real l’ha aggredita; placatasi dopo gli errori bianchi e le fenomenali parate di Weidenfeller; in mano ai tedeschi in una ripresa giocata tanto bene da ritenere il gol un accessorio superfluo, quasi volgare; infine riaperta in extremis dall’orgoglio di un grande club. È finita 2-0 per il Madrid, poteva andare in dieci altri modi, anche con il Real qualificato. «Se avessimo giocato la metà di questa volta — dirà Sergio Ramos — saremmo passati». Troppo tardi, e il Bernabeu alla fine era giustamente tutto in piedi. Saltavano ubriachi i tedeschi, applaudivano fieri gli spagnoli, si stringevano la mano Klopp e Mourinho. Altro dal calcio non si può volere.
Il Real aveva provato a caricarsi con la proiezione al Bernabeu delle famose rimonte dell’era di Juanito e Santillana, con la benedizione del presidente Florentino Perez nel vestuario, con il mantra urlato in città fin dal mattino «sì, se puede». In campo poi Mourinho ha inventato alcune variazioni tattiche importanti rispetto all’andata: fuori Pepe e Khedira, sono entrati a destra Essien terzino e Di Maria esterno. Ra- mos è così passato al centro in funzione anti-Lewandowski (mossa riuscita), Modric è scalato playmaker davanti alla difesa e Ozil è tornato trequartista centrale.
Klopp è partito con lo stesso undici di Dortmund, presto modificato per l’infortunio muscolare di Gotze (dentro Grosskreutz e Reus scivola al centro), ma la vera differenza in avvio l’ha fatta la disperazione. Il Real è scattato a razzo facendo tutto bene: i tagli di Di Mar i a , gliallar gamenti di Hi- guain, gli accentramenti di Ronaldo, la regia mobile di Modric. Risultato: tre palle gol nette in 15’, però tutte fallite. Su Higuain e CR7 ha parato l’ottimo Weidenfeller, poi Ozil ha fallito solissimo davanti al portiere e l’errore è parso chiudere la partita quando ancora era l’alba.
Col tempo infatti il Dortmund — fin lì aggrappato al portiere, ai giganti Subotic e Hummels e al superlavoro difensivo degli esterni abbassati spesso a formare un 4-4-2 mai statico — ha rallentato i ritmi e alzato la zona del recupero palla (una sua arma fondamentale). Il Real è finito nel labirinto del possesso palla fine a se stesso, dei lanci e delle percussioni frenetiche di Ronaldo, sempre più solo. Segnali di impotenza. Non a caso, verso la mezz’ora, Mourinho si è seduto: doveva aver capito tutto.
Anche che nella ripresa sarebbe potuta andare peggio: il Borussia, sempre più bello e leggero nei piedi del bravissimo Reus, ha avuto due chiare palle gol con Lewandowksi in serata no (una traversa) e una con Gundogan, su cui Lopez ha fatto un miracolo.
Si aspettava solo il gol del trionfo tedesco, invece al 38’ ecco il lampo dei due panchinari bianchi: Kakà per Benzema, gol e tutto è cambiato. Il Borussia ha scoperto la paura, Weidenfeller è stato miracoloso su Benzema ma poco dopo è crollato su Ramos.
In una bolgia dantesca sono corsi gli ultimi 7 minuti, lunghissimi per il Borussia, troppo brevi per il Madrid e Mourinho. Mentre Klopp e i suoi giovani eroi vanno a Wembley, José, il collezionista di Champions colpito dalla maledizione della Decima coppa madridista, prepara la sua vita altrove, via da qui: «Non starò fermo, andrò dove mi amano». Al Chelsea, ma con un rimpianto in più.