Basket, machismo e bulli La sfida di Collins al sistema
«Pronti ai gay». Ma dopo l’outing, le critiche
«Credo che gli Stati Uniti d’America siano pronti ad avere il primo giocatore di basket omosessuale» ha deciso ieri Jason Collins, 34 anni, veterano free agent (senza contratto) dell’Nba, rispondendo, fresco di outing, alle domande della rete televisiva Abc, mentre dalla plancia di comando della Casa Bianca si scomodava Barak Obama in persona: «Dopo il grande gesto di Jason, la comunità gay sappia che merita piena uguaglianza, non solo tolleranza: fa parte a pieno diritto della famiglia americana».
A non essere così pronto, però, potrebbe essere proprio lo sport professionistico Usa, trincerato dietro le quattro grandi leghe — Nba (basket), Nfl (football), Nhl (hockey) e Mlb (baseball) —,
Chamberlain e Magic Nba: l’autoesaltazione di Chamberlain e Magic. Wallace (Nfl), un twitter omofobo
storicamente playground di omofobia e machismo. Le voci stonate nel mare di commenti positivi, infatti, non si sono fatte attendere. La National Football League (Nfl) è quel campionato che negli armadietti dello spogliatoio tiene steroidi, anabolizzanti e proiettili 9 mm per la Colt semiautomatica. Mike Wallace, ricevitore dei Miami Dolphins, ha prima twittato il suo disappunto («Scuoto la testa: con tutte le belle donne al mondo, ci sono uomini che vogliono farsela con altri uomini!») e poi ha cancellato dal profilo il messaggio, scusandosi per aver urtato la sensibilità altrui. E la memoria dell’America meno progressista è corsa alla vigilia dell’ultimo Superbowl, quan- do al cornerback dei San Francisco 49ers, Chris Culliver, cattiva coscienza del professionismo made in Usa, scappò di bocca ciò che molti pensano e pochi hanno il coraggio di dire («I gay non mi piacciono e nella mia squadra, per fortuna, non ce ne sono. Se ce ne fossero, andrebbero buttati fuori»), prima di essere costretto a scusarsi in diretta tv.
Il basket Nba è noto come l’ambiente più maschilista d’America, da Wilt Chamberlain che nell’autobiografia «Visto dall’alto» dichiarò di aver fatto sesso con 20 mila donne diverse (Cassano, fatti da parte) a Magic Johnson, fiero dei suoi cinque anelli con i Lakers, dell’oro olimpico con il Dream Team e di aver realizzato tutte le sue fantasie sessuali («Non mi sono mai negato alcun capriccio»), tanto da vedersi intentare causa da un’ex amante che lo accusava di averla contagiata con l’Aids. Solo due anni fa, Kobe Bryant ricevette una multa di 100 mila dollari per aver ingiuriato («Frocio!») l’arbitro Bennie Adams nel match contro i San Antonio Spurs. Lo stesso Kobe che lunedì si è sperticato in lodi: «Orgoglioso di Jason Collins: non nascondere chi sei per l’ignoranza degli altri». Prima di cambiare nome in Metta World Peace, Ron Artest schiaffeggiava palloni e donne. James Worthy si meritò il soprannome di Big Game James prima di essere arrestato a Houston (1990) per sfruttamento della prostituzione: era in Texas con i Lakers per affrontare i Rockets quando decise di organizzare un round di bunga bunga assoldando un servizio di escort locali. Due di loro erano poliziotte sotto copertura.
Bel l ’ a mbientino di lord, il basket Nba nel quale Jason Collins spera di trovare un ingaggio per continuare a giocare ad alto livello. Non è un mistero che al suo sbarco nella Grande Mela, sul parquet dei New York Knicks, insieme al programma degli allenamenti e delle trasferte a Danilo Gallinari fu fornito un decalogo che lo aiutasse a districarsi dall’assalto di femmine (a pagamento e non) a cui sarebbe stato sottoposto. E non è un caso che ruotino proprio intorno alla presa in giro dei gay i riti di iniziazione a cui devono sottostare i rookies. Costringere i neofiti a farsi vedere in pubblico con lo zainetto di Hello Kitty, riempire loro l’auto di pop corn e noccioline (niente, in confronto agli escrementi dei soliti noti nelle scarpe dei compagni), sonori schiaffoni in faccia (Charles Oakley a Scottie Pippen), ballare e cantare per lo scherno dei compagni (Jeremy Lin), andare in giro vestiti da donna: scherzi da caserma e nonnismo sono all’ordine del giorno. È questo il maso chiuso che Collins sta cercando di aprire come una cozza. John Amaechi aspettò il ritiro. «Meglio, perché sapendolo io non l’avrei voluto in spogliatoio insieme a me» chiosò quel gentiluomo di Tim Hardaway. Auguri, Jason.