La Convenzione per le regole Referendum e buon senso
Curioso: 18 mesi (giugno 1946-dicembre 1947) bastarono all’Assemblea costituente per rivoltare l’Italia come un guanto; adesso non bastano per cucire qualche toppa sul guanto. A quanto pare, eravamo più veloci scrivendo con la penna stilografica, anziché sui tasti d’un computer. Doppiamente curioso: il successo di questo governo dipende da uno strumento che non è nelle mani del governo. Perché la Convenzione abiterà nel Parlamento, di cui peraltro Letta ha dichiarato la centralità, rispolverando uno slogan degli anni Settanta. E perché dunque sul nuovo gabinetto grava una responsabilità per fatto altrui, benché esclusa da tutti i manuali di diritto. D’altronde noi italiani abbiamo sempre avuto un rapporto un po’ paradossale con le regole. Dopo l’approvazione della Carta del 1947, ci siamo baloccati per trent’anni a reclamarne l’attuazione, gli altri trenta a ventilarne la riforma. Proiettando insomma la Costituzione nel futuro, oppure nel passato. E senza coniugarla mai al presente, nel suolo su cui pestiamo i piedi. Il nostro presente ospita semmai un fantasma, una Costituzione immaginata che per gusto degli ossimori chiamiamo «materiale», pur essendo del tutto immateriale. Ora però è tempo di riconciliarci con il tempo. L’orologio delle istituzioni non può funzionare con le lancette rotte; e nemmeno quello della società italiana. Anzi: le riforme costituzionali precedono quelle economiche e sociali. Ne sono il presupposto, il terreno di coltura. In sintesi, è questo il primo messaggio del governo. Forte e chiaro, anche per i sordi. Ma affinché da tale contesto nasca un testo, sarà necessario soppesarne una per una le parole. Come hanno osservato due studiosi americani (Tribe e Dorf), è infatti questa la missione dei costituenti: «creare una Nazione attraverso parole». E allora cominciamo a domandarci quale verbo preannunzia il nuovo verbo. A partire dal nome assegnato alla gestante: Convenzione. Non Assemblea costituente (e meno male, perché non c’è bisogno di plasmare daccapo l’universo), non Bicamerale (dopo tre fiaschi, porta iella). Anche le Convenzioni, tuttavia, hanno incontrato vicende altalenanti. Nel 1794 la loro antenata - la Convention Nationale - tagliò la testa a Robespierre, che ne era stato membro. Non è un buon viatico per gli aspiranti candidati. Più di recente, nel 2004 quella presieduta da Giscard d’Estaing approvò un progetto di Costituzione per l’Europa, che però venne affossato l’anno dopo. Invece nel 2000 una Convention ha licenziato, con successo, la Carta dei diritti. Introducendo metodi basati sulla trasparenza e sulla più ampia partecipazione, anche attraverso Internet: un esempio da emulare. Insomma, dipende. Dalle parole, ma pure dalle cose. Intanto servirà una legge costituzionale per infliggere una deroga alla procedura dettata nell’art. 138 della Costituzione. E già che ci siamo, non sarebbe male se questa legge rendesse obbligatorio il referendum per approvare la riforma. Anzi tanti referendum per quanti saranno i suoi capitoli, perché gli italiani non possono essere costretti a un prendere o lasciare, in blocco e senza distinzioni. Ma soprattutto servirà qualche grammo di buon senso, quello che fin qui è mancato alla politica. Altrimenti la Convenzione si trasformerà in circonvenzione: d’incapace.
michele.ainis@uniroma3.it
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