È IL MOMENTO DEI PRAGMATICI O IN UCRAINA FINISCE MALE
PUTIN E L’OCCIDENTE
Un esercito a due passi dal confine ucraino, immobile ma minaccioso. Il tentativo di creare delle «piazze Maidan filorusse» in Ucraina orientale per bilanciare le bandiere e i morti della vera piazza Maidan di Kiev. E insieme una proposta negoziale a chi conta, cioè agli americani. Vladimir Putin più chiaro di così non potrebbe essere: l’annessione della Crimea non gli basta, un ulteriore uso della forza non è previsto ma a condizione di ottenere un assetto istituzionale dell’Ucraina che renda autonome, in uno Stato federale, la componente occidentalista da un lato e quella russofila dall’altro. Questo è il bivio decisivo che attende l’Occidente: che fare, opporsi fermamente al disegno di Putin e andare allo scontro malgrado gli inevitabili boomerang economici previsti da nuove e più severe sanzioni?
Oppure è preferibile esplorare la via del compromesso sapendo che, sulla Crimea, il discorso è chiuso e che all’Ucraina non si può imporre dall’esterno una federazione su base storico-culturale?
La prima delle due opzioni, quella di varare nuove sanzioni economiche e finanziarie approfondendo e prolungando nel tempo la spaccatura con il Cremlino, sulla carta ha i favori del pronostico. Per una serie di ragioni. L’Ucraina potrà bloccare ogni alternativa, soprattutto se parteciperà davvero il 17 prossimo a Vienna a un inedito incontro quadripartito tra America, Russia, Europa e, appunto, Ucraina. Si aggiunga che a sostenere le posizioni di Kiev ci sono sì in prima linea i polacchi e i baltici, ma anche quei settori politici e/o congressuali di Washington assai sensibili, di questi tempi, agli orientamenti della comunità polacca in America. E gli altri europei si sono già impegnati a favore delle nuove sanzioni, benché manchi finora l’azione offensiva di Putin che tutti (anche Obama) hanno indicato come motivo per far scattare il terzo e più grave castigo sanzionatorio.
Eppure, se è lecito temere che le pretese di Putin provochino lacerazioni profonde, l’arma diplomatica non è ancora spuntata. Nell’ultima settimana Kerry e Lavrov si sono parlati riservatamente, il che è buon segno. L’idea russa di fare dell’Ucraina una federazione tenuta insieme dai gasdotti non può essere accettata così com’è, ma può diventare oggetto di trattativa. È improbabile che Putin ottenga un’annessa garanzia costituzionale di neutralità, ma sul tema dell’ingresso di Kiev nella Nato esistono margini negoziali già emersi nel 2008, quando gli europei frenarono gli entusiasmi di George W. Bush. E alla Russia andrebbe comunque imposto di partecipare allo sforzo economico pro Ucraina e di ripristinare per il suo gas il prezzo di favore inizialmente concesso a Yanukovich. L’interrogativo, insomma, è ancora valido: una realistica stabilità dell’Ucraina può essere raggiunta in accordo con la Russia piuttosto che contro di essa?
Molte risposte dipendono da Vladimir Putin. Ma anche in Occidente sarebbe opportuno mettere da parte ogni retorica da fronte interno (tanto Obama quanto Putin ne hanno subito il peso) e andrebbe invece avviato, alla luce del sole, quel dibattito sul che fare che sin qui si è piuttosto dissimulato nei mormorii tipici dell’indecisionismo europeo (e da qualche tempo anche americano). Putin va sfidato all’insegna del suo stesso pragmatismo, gli va fatto capire che non può tenersi la Crimea, mettere le mani sull’Ucraina dell’Est e insieme scongiurare le sanzioni che manderebbero a picco la sua traballante economia. Non può, se non è pronto anche lui a fare concessioni e a dare garanzie, pur sapendo che servono almeno tre anni per far arrivare in Europa lo shale gas americano e che le sanzioni rischierebbero di aggravare anche lo stato dell’economia globale.
Per superare la crisi limitando i danni, tutelando maggioranze e minoranze ucraine senza creare un nuovo Muro e senza spingere una Russia indebolita nelle braccia della Cina avida di gas e petrolio, non serve un Occidente cinico. Basta un Occidente consapevole della sua forza e della debolezza economica russa, ma anche dotato di quella lucidità storica e politica che serve spesso a prevenire il peggio. E bisogna fare presto, perché non si potrà andare avanti a lungo con quei soldatini fermi al confine e quelle supersanzioni ferme in rampa di lancio.
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