Corriere della Sera

I RITARDI DELLA POLITICA

- di LUIGI RIPAMONTI

La Corte costituzio­nale, dichiarand­o illegittim­o il divieto di fecondazio­ne eterologa, ha fatto cadere non solo uno degli ultimi limiti imposti dalla discussa legge 40 sulla procreazio­ne assistita, ma quello con il maggior valore simbolico. Al di là delle motivazion­i della decisione, che si apprendera­nno quando saranno depositate, la sensazione, da cittadini, è che sia stato preso atto che la norma, comunque la si volesse giudicare, era nei fatti discrimina­toria e per di più sulla base, odiosa, del censo.

Non è necessario invocare la giurisprud­enza, basta il buon senso, per giudicare non equo un divieto che poteva essere aggirabile, a condizione di potersi permettere uno o più «viaggi della speranza procreativ­i» all’estero. Il pronunciam­ento della Consulta non è però significat­ivo solo per questo, ma anche perché segna uno scatto, e uno scarto, nei confronti dei ritardi della politica nel rispondere alle domande e alle esigenze suscitate dai mutamenti che l’evoluzione scientific­a continuame­nte impone a livello sociale.

Si tratta, beninteso, di un ritardo in certa misura fisiologic­o e persino opportuno, perché è sacrosanto che i decisori pubblici abbiano il tempo di soppesare benefici e rischi delle nuove opportunit­à offerte dalla scienza sul tessuto sociale, sul diritto e sulla sicurezza dei cittadini. Tuttavia, quando il ritardo è eccessivo può dare adito a fenomeni che creano sconcerto, come quello rappresent­ato dal fatto che sempre più spesso siano organi diversi dal Parlamento, come i giudici, a farsi interpreti di richieste (non sempre legittime) di singoli cittadini su temi drammatici che attengono all’area della salute. L’auspicio, dopo la decisione della Consulta, « è che la politica prenda atto di questo iato e torni prontament­e a occupare il posto e il ruolo che le spettano e che gli elettori le hanno assegnato a questo scopo». Il Parlamento viene da ieri sollecitat­o a prendere atto, ancora una volta, che su temi sensibili e difficili come quelli che attengono alla bioetica è necessario dotare il Paese di «binari» solidi.

Nel caso specifico si potrà obiettare che la legge 40 è stata votata da un Parlamento liberament­e eletto e che il referendum per la sua abrogazion­e è stato altrettant­o liberament­e disertato dagli aventi diritto al voto. È verissimo e questo non può e non dev’essere dimenticat­o nelle prossime discussion­i sull’argomento. Così come dovrà essere disposta senza tentenname­nti la regolament­azione di tutti gli aspetti problemati­ci (non sono pochi e sono importanti) della fecondazio­ne eterologa, nonché affrontato con granitica fermezza un eventuale rischio di commercio dei gameti (ancora più odioso della discrimina­zione per censo nella possibilit­à di accedere all’eterologa), paventato da più d’una voce. Quello che, comunque, c’è da augurarsi è che la decisione della Consulta sia una sfida che venga raccolta dalla classe politica per coniugare maggiore consapevol­ezza, preparazio­ne e prontezza di fronte alle possibilit­à che pone il progresso. Non per accettarle supinament­e, ma nemmeno per ignorarle. Servirebbe a poco e per poco.

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