Verdini sconfitto in Senato: sì all’uso delle sue intercettazioni
ROMA — «Si può o non si può intercettare un parlamentare?», ha chiesto con tono di sfida il senatore Denis Verdini (Forza Italia) ma poi l’aula di Palazzo Madama gli ha voltato le spalle, anche se il voto era segreto. In 144 (Pd, M5S e Sel con qualche defezione) hanno detto sì mentre solo 101 colleghi senatori (più i 4 astenuti) si sono opposti alle richieste dei giudici per le indagini preliminari di Roma e
L’intervento «Vorrei tanto sapere chi ha selezionato le mie chiamate». Poi racconta la storia di San Filippo Neri
dopo lo stralcio, i procedimenti incardinati a Roma sulle Grandi opere e sulla cosiddetta P3. Ora, nel procedimento sul dissesto finanziario fiorentino — dove l’accusa ipotizza oltre la bancarotta «la truffa ai danni dei soci e del pubblico», come hanno puntualizzato i relatori Felice Casson e Stefania Pezzopane del Pd — la posizione di Verdini torna davanti al giudice per le indagini preliminari dopo che era stata stralciata in attesa della decisione del Senato. Che ha impiegato, tra giunta e aula, quasi un anno visto che la prima richiesta era arrivata a fine maggio del 2013.
«Si può o non si può?», ha dunque tuonato Verdini che è andato a prendere posto nella terzultima fila dei banchi di Forza Italia. «Se si può, allora questa aula abbia il coraggio di spazzare via le immunità ancora previste dall’articolo 68 della Costituzione. Se non si può, invece, finiamola con questa ipocrisia delle telefonate » dei parlamentari «intercettate per caso» perché sotto controllo sono finiti gli apparecchi di terze persone. Il senatore azzurro ha fatto due conti: «Vorrei sapere chi ha selezionato le telefonate poi finite agli atti, qui nella prima inchiesta ne vedo 31 ma io con Fusi parlavo molte volte al giorno…». Poi Verdini ha alzato il tono per lanciare una provocazione che in tempi di spending review sembra ancora più ardita: «Presidente, mi rivolgo a lei — ha detto a Pietro Grasso — perché oggi la tecnologia ci può aiutare… Non c’è bisogno dell’intervento della Corte costituzionale, che già si è dovuta occupare delle intercettazioni indirette, ma basterebbe una semplice macchinetta che costa 12 mila euro che renderebbe non intercettabili i telefonini dei parlamentari». L’aula non ha battuto ciglio davanti a questa proposta. Solo Mario Giarrusso (Cinque Stelle) ha preso la parola per dire che «tutto questo è irrispettoso per i cittadini perché sarebbe incredibile spendere migliaia di euro per una macchinetta anti intercettazioni».
Prima del voto Verdini ha tentato di far leva (con un occhio al voto segreto) sulla tutela di una garanzia che riguarda tutti i senatori: «Sperate che non vi accada quello che è accaduto a me. Pensateci prima perché dopo è tardi». E per dimostrare di essere vittima di una calunnia irreparabile, l’artefice dell’accordo sulle riforme Renzi-Berlusconi ha citato pure la «la storiella di San Filippo Neri», confessore in Duomo a Firenze: «A un assassino e baro, proprio come vengo descritto io, San Filippo Neri negò l’assoluzione perché il tipo gli confessò anche una calunnia. “Ma come, disse quello, non mi assolvi?”. Allora San Filippo Neri gli propose: “Ti assolvo se prendi un pollo e, in una giornata di vento, vai a spennarlo in fondo alla via Larga, oggi via Cavour. Poi torna indietro raccogliendo tutte le penne... “Ma non è possibile”, replicò il baro. “Ecco, appunto”, troncò San Filippo Neri».
Tutto fiato sprecato però. Perché il Pd, pur con una dichiarazione di voto davvero striminzita, ha fatto maggioranza con i grillini e con Sel. La stessa che a novembre approvò la decadenza di Silvio Berlusconi.