Se il volontariato ti cambia il curriculum «Decisivo per i giovani»
Rivela più passione e doti organizzative
La tendenza è confermata anche da Andrea Castiello d’Antonio, consulente del lavoro e management. Che però precisa: «Il peso del volontariato nel curriculum dipende molto dal tipo d’impresa. Ci sono società incentrate sulla competitività che non guardano se hai fatto qualcosa di socialmente utile o no. E ce ne sono altre che a volte fanno del non profit un elemento discriminante durante i colloqui » . In quest’ultimo caso — continua l’esperto — «pur trattandosi di attività non retribuite all’impresa interessa molto l’aspetto motivazionale che ha spinto il candidato a fare qualcosa senza ricevere in cambio denaro».
« Più la realtà non profit è strutturata, più l’attività svolta all’interno viene valutata e apprezzata dalle imprese e dai “cacciatori di teste”», ragiona Maria Cristina Bombelli, fondatore e presidente di Wise Growth, società che si occupa di analizzare la diversità in azienda. Motivo? «È più facile che in queste realtà il candidato abbia sviluppato competenze organizzative, manageriali e di rapporto con le persone che possono essere utili per la società che vuole assumere».
«C’è ancora molta strada da fare per raggiungere il livello americano, ma ci stiamo avvicinando», avverte Luca Solari, professore ordinario di Organizzazione aziendale all’Università Statale di Milano e visiting professor in management alla California Polytechnic State University. Il punto di svolta, secondo Solari, sarebbe quello di iniziare da piccoli. «Negli Stati Uniti ci si abitua già dalle scuole elementari a impegnarsi nel volontariato. La stessa cosa bisognerebbe fare, ma davvero, anche in Italia: non concentrandosi su attività di sensibilizzazione, ma strutturando un percorso fino all’ultimo anno di università». Perché, continua il docente, «per chi ricerca il personale quelle attività inserite nel curriculum diventano una spia importante per l’azienda: se si mettono insieme volontariato e il tempo impiegato, per esempio, per laurearsi si può avere un’idea delle capacità organizzative del candidato». Ma, avverte Solari, senza esagerare. «Le aziende vedono molto cosa uno ha fatto e per quanto tempo. Soprattutto: come l’ha fatto».