Corriere della Sera

«Dal saper fare di Milano capisco che l’Europa non è finita»

- Silvia Nani

Verrebbe da dire che per Daniel Libeskind ci sia una «Design Week» tutto l’anno: «Vengo a Milano almeno una settimana al mese. Indispensa­bile, avendo aperto qui, già da tempo, la nostra sede di design di prodotto seguita da mio figlio», dice, mentre in questi giorni si divide tra le presenze in fiera e fuori Fiera, a raccontare i suoi nuovi arredi e partecipar­e a tavole rotonde sulla progettazi­one.

Certo, la regia della sua attività di architettu­ra avviene a New York ma non tutti sanno che Libeskind ha abitato a lungo nella nostra città. «Quando ero in lizza per il progetto del Museo Ebraico vivevo a Milano, dove mi ero trasferito con tutta la famiglia. Siamo rimasti per tre anni, mia figlia è nata qui», racconta. Una città che continua ad amare molto e considera persino migliorata rispetto a quel periodo (era la fine degli anni 80): «Oggi Milano è globale, la creatività è cresciuta e il contesto di designer che gravitano qui è più vario di allora». Lo dice lui, abituato a muoversi in uno scenario internazio­nale e a captare opinioni di personalit­à della cultura: «Eppure tanti colleghi pensano che l’Europa sia finita e guardano solo all’Oriente. Invece il tessuto di imprese, distribuit­e tra la Brianza e la provincia di Como, è unico al mondo: ci sono grandi aziende e piccole botteghe, una ricchezza del saper fare che trasforma quest’area in una specie di “paradiso del design”». Ma la crisi? «È reale, è vero, ma è anche una condizione psicologic­a. Dobbiamo imparare a essere più ottimisti», dice.

Dai progetti in grande scala ai piccoli oggetti: come si confronta un archistar, abituato a misurarsi con la creazione di edifici, con le piccole cose del quotidiano? «In realtà non c’è differenza — afferma con convinzion­e —. Non è vero che disegnare un arredo sia più facile, anzi. La disciplina è unica, l’approccio architetto­nico vale anche pensando a oggetti in piccola scala». E basta guardare i suoi nuovi progetti per capirlo: dagli specchi geometrici che sembrano spezzati e ricomposti (di Fiam) a una cucina scultorea in Corian («Sharp» realizzata per Varenna): «Racconta un modo attuale di essere sostenibil­i: materiale ridotto al minimo, spessori sottilissi­mi, flessibili­tà di utilizzo anche in case piccole».

Oggetti pensati per interagire con le persone e i loro nuovi stili di vita: «La tecnologia è fondamenta­le ma applicata alla dimensione umana. Per I Guzzini ho progettato dei faretti a led innovativi, profession­ali ma così flessibili da poter adattarsi bene anche in spazi domestici». Ma tra le novità c’è anche una nuova libreria in Corian per Poliform: «Con il web l’acquisto dei libri è ridotto, un pezzo di questo genere diventa una scultura, quasi un’opera d’arte da centro stanza. E sta bene anche vuoto», dice mentre la indica. Ecco, l’arte, un suo punto fermo, per «riscaldare» l’impiego della tecnologia: «Sarà forse per i miei trascorsi di musicista», dice rievocando di aver abbandonat­o una carriera da virtuoso per l’architettu­ra. Senza rivelarci se, forse, un po’ non la rimpianga.

 ??  ?? Archistar Daniel Libeskind, nato in Polonia nel 1946, a Milano, in piazza Cavour. Libeskind ha vissuto a Milano e qui ha uno studio (foto D. Piaggesi)
Archistar Daniel Libeskind, nato in Polonia nel 1946, a Milano, in piazza Cavour. Libeskind ha vissuto a Milano e qui ha uno studio (foto D. Piaggesi)

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