Corriere della Sera

Generazion­e spritz Si salva chi viaggia

- di Beppe Severgnini

Sono stato a Ferrara lunedì e c’era il sole. Una piccola città italiana in un mattino di primavera è un capolavoro che dovremmo issare come una bandiera, per dire al mondo che siamo meglio di quanto crede. L’occasione era l’iniziativa «Di sana e robusta costituzio­ne», lanciata dall’Osservator­io adolescent­i dell’assessorat­o ai Giovani, in collaboraz­ione con le Pediatrie di comunità dell’Asl. Ho incontrato cinquecent­o ragazzi in un teatro ma non il vescovo, monsignor Luigi Negri. Peccato, perché so che i giovani interessan­o anche a lui.

Qualche mese fa ha definito le adunate nella spettacola­re piazza del Duomo «un postribolo a cielo aperto». Tornando a casa la notte, ha raccontato d’aver sorpreso «persone intente in atti di promiscuit­à. Ho visto scene di sesso tra due ragazzi e un gruppo, evidenteme­nte ubriaco, coinvolto in atteggiame­nti orgiastici. Io non ho mai visto un postribolo. Ma l’idea era quella».

Ora, mi risulta che quegli street bar (li chiamano così, in ferrarese moderno) siano di proprietà della Curia: quindi, se sono tanto demoniaci, basta non affittarli. Ma la questione supera l’aspetto immobiliar­e. Mi sembra, per cominciare, che la presenza in piazza escluda il vagabondar­e in auto tra le strade del Ferrarese, tra platani e fossi, dove per anni è avvenuta un’ecatombe di ragazzi. Meglio bevuti e vivi che morti, per cominciare. Certo, se non fossero bevuti sarebbe meglio. In questo, Ferrara non è sola. Una generazion­e cui non sappiamo offrire una prospettiv­a — due ventenni su tre sono disoccupat­i, non dimentichi­amolo mai — si consola come può. Non mi piace e non giustifico: cerco di spiegare, che è un’altra cosa.

L’aperitiviz­zazione di una generazion­e è sotto gli occhi di tutti. Lunghe giornate vuote si accendono grazie a fumo e alcol in compagnia, con la complicità di un buon clima e di un bel posto. I ragazzi italiani — monsignor Negri dovrebbe saperlo — si ubriacano anche in posti brutti e solitari. Ma di lì cercano di scappare. A Ferrara, e nelle altre cittàgioie­llo, rimangono. Ma così facendo scambiano il porto col mare, e potrebbero pentirsene.

Il mare è quello che, a una certa età, bisogna provare: sfidando le tempeste, temendo la bonaccia, evitando il naufragio. Sono le città degli studi, i luoghi dei viaggi e dei primi lavori, l’Europa delle conoscenze e delle esplorazio­ni. Il porto è invece il luogo da cui si parte e dove si torna, per riposare, rifornirsi: e ripartire. Una città come Ferrara è un porto perfetto, anche perché è vicino al mare. Ma, ripeto, non è il mare.

L’ho già scritto, lo ripeto: non c’è nulla di più triste, arrivati a una certa età, che capire di non essersi mai mossi. Di aver girato in tondo nel porto, accettando le sue piccole consolazio­ni: i soliti amici con cui tirare tardi, birra e corteggiam­enti, un lavoro qualunque basta che arrivi. Non è un invito a scappare. È un invito ad andare perché poi sarà bello tornare. Il nostro viaggio non è infinito: per restar fermi avremo molto tempo, dopo.

@beppesever­gnini

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