Voci da un oscuro passato nel lager di Tito
Goli Otok De Capitani e Sarti nell’inferno del campo di internamento
Uno spettacolo semplice, un tavolo, due sedie, pochi libri, e un tema complesso da trattare e raccontare. Goli Otok, all’Elfo Puccini, è riuscito a essere tale, semplice, complesso e incisivo. La storia è quella di coloro che hanno creduto nella possibilità di creare il socialismo nella neonata Repubblica popolare di Jugoslavia di Tito. Tra loro internazionalisti combattenti nella guerra di Spagna, partigiani, studenti, intellettuali, operai, i quali, dopo la rottura di Tito con l’Urss, finirono per essere tacciati di stalinismo, quindi antinazionalisti, nemici da combattere e da far ravvedere. Lo studente Aldo Juretich fu uno di loro, colpevole di aver espresso il suo internazionalismo. Fu condannato a due anni di lavori forzati a Goli Otok isola deserta del Quarnero divenuta infernale gulag titino.
Lo spettacolo è il racconto di quella esperienza di insopportabile dolore psicologico e fisico, malattie, fame, sete, sadici lavori forzati. Ma è soprattutto un urlo trattenuto, lucido e tagliente per l’assassinio di ideali di libertà e di uguaglianza, un tradimento vissuto senza fanatismi, senza odi, ma con lucida, impietosa verità.
Renato Sarti ha scritto un testo molto ben composto nel quale, accanto alla figura di un medico intervistatore, lo stesso Sarti, si delinea in progressione il personaggio di Aldo, interpretato con straordinaria bravura e pregnante levità da Elio De Capitani. La sua recitazione è quasi sommessa, con poche asperità, c’è ironia, dolore, consapevolezza e persino stupore, le sue pause hanno il peso impossibile del ricordo da evocare, della riflessione amara. E prepotente si fa sentire la forza di una vita vissuta sempre con estrema, intelligente dignità.