Il calcio essenziale dell’Atletico riporta il Barcellona sulla terra
MADRID — Un gol di Jorge Resurrección Merodio, che poi sarebbe Koke ( il primo in Champions League), anni 22, prodotto del vivaio, spinge l’Atletico Madrid alle semifinali di Champions League, dove dopo sei anni non ci sarà più il Barcellona. La squadra del «Cholo» Simeone, osannato più di un giocatore, ha strameritato la qualificazione (e non ha potuto nemmeno schierare Diego Costa, infortunato), perché l’1-0 del Calderon avrebbe potuto essere ben più consistente per quanto hanno fatto vedere le due squadre. Calcio essenziale, ma magnifico, di un’efficacia straordinaria, ma spettacolare quello dell’Atletico; calcio di una squadra in declino, troppo lezioso e involuto quello del Barcellona.
È presto per dire se qui a Madrid si è chiuso un ciclo, perché il Barcellona è secondo nella Liga a un punto dall’Atletico e con Neymar e Messi si può sempre ripartire; resta il fatto che qui si è esaurita l’idea blaugrana, ammirata ed esportata nel mondo durante l’era Guardiola e che questa eliminazione, meno traumatica di quella di un anno fa con il Bayern, ma addirittura nei quarti, segna un altro momento negativo nella tormentatissima stagione del Barça.
Del resto non si sa come il Barcellona ce l’abbia fatta a uscire soltanto ferito, ma ancora in partita dai primi venti minuti, che l’Atletico ha giocato su ritmi proibitivi e con un pressing furioso. Mai visto il Barça costretto a difendersi negli ultimi venti metri, attaccato in tutta la larghezza del campo da avversari tarantolati. La squadra di Simeone, con un po’ di buona sorte, avrebbe messo la qualificazione in cassaforte, invece è andata al riposo in vantaggio, ma con i giochi ancora spalancati. In sintesi: traversa di Adrian, con palla ripresa da Villa, per Adrian, a seguire per Koke, preciso nel fare gol (5’); palo di David Villa (12’); ammonizione per Busquets costretto al fallo per arginare Adrian (18’); traversa di David Villa (19’). In mezzo un colpo di testa di Messi, solo in area, con pallone fuori di poco.
È stato nella seconda parte del primo tempo che il Barcellona ha cercato di giocare, ma è andato a sbattere contro l’organizzazione difensiva dell’Atletico, che ha chiuso tutto, con movimenti quasi perfetti. Forse mai come in questa primo tempo, Iniesta, alla 500° partita con il Barça, aveva tanto sofferto e tanto sbagliato. Con Messi decentrato a destra e in stato di isolamento, non è bastata la partita di sacrificio di Neymar, per rilanciare il Barcellona.
Di certo il Barcellona ha iniziato la ripresa con altra autorevolezza, andando a un passo dal pareggio con la conclusione di Xavi (4’) e poi tornando ad affacciarsi in area. L’Atletico, in momentanea riserva di energie, ha accettato di soffrire, avvicinando le linee, stringendo i denti, mai rinunciando all’idea di essere squadra. I cambi hanno modificato il quadro tattico del match: Martino ha aumentato il potenziale offensivo, con Sanchez e Pedro (per Iniesta), accettando i rischi di chi gioca con 4 attaccanti; Simeone ha tolto Adrian, esausto, per Diego e poi anche Villa e questo gli ha consentito di sfruttare gli spazi, di recuperare l’assetto migliore e di riprendere in mano la gara, avvicinandosi al 2-0 con Diego e con Gabi, con doppia respinta di Pinto, inguardabile nello stile, ma efficace e poi con Raul Garcia. Il Barça le ha provate tutte, qualche volta con pazienza, altre volte buttando il pallone in area, sempre con poca lucidità e senza trovare lo spazio dove infilarsi, anche se Neymar ha gelato il «Calderon», con una conclusione di testa in tuffo a lato di poco. È stato Rodriguez ad avere il pallone del 2-0, ma ha trovato Pinto, quando per il Barça la partita era già finita. Male, in un tripudio di sciarpe biancorosse.
Il futuro è dell’Atletico; il futuro è di Simeone, che ha plasmato questa squadra trasformandola in una macchina quasi perfetta per questo tipo di calcio.