Gli avversari Così l’interista Hodgson ha italianizzato la vecchia Inghilterra
La lezione sacchiana rivista e corretta
MANAUS — Stasera Roy Hodgson, al momento di sedersi sulla panchina dell’Inghilterra, si sentirà un po’ italiano e non soltanto perché, dopo aver allenato Inter ( 1995- 1997) e Udinese (2001), ritroverà gli azzurri, che lo avevano escluso ai rigori da Euro 2012 nei quarti di finale a Kiev. A Manaus ci sono la stessa temperatura e la stessa umidità delle belle estati lombarde, perché, come ricordava Egisto Corradi, grande inviato del Corriere, che aveva girato il mondo, Vietnam compreso, «non c’è nessun posto dove fa caldo come a Milano, quando fa davvero caldo». E poi perché il prato è di pessima qualità (come nella miglior tradizione della serie A), con ritocchi dell’ultima ora (proprio come da noi), proprio come quello di San Siro ai suoi tempi. Alla fine, dopo 48 ore di polemiche, un consulto fra la Football Association e i tecnici dello Stri (Sport Turf Research Institute), l’ente preposto alla cura dei terreni del Mondiale, ha chiuso il discorso, anche perché alternative non ce n’erano e il torneo deve andare avanti.
Ma è in altri particolari che emerge il legame fra l’Italia e il signor Roy, il più vecchio c.t. della storia dell’Inghilterra, ma anche il più elegante (in pochi indossano giacche e cravatte con la sua classe). Siccome si parla di pallone, non è un dettaglio ricordare che l’esperienza nerazzurra ha in parte modificato i suoi convincimenti tattici di partenza. In avvio, Hodgson era un fedele interprete del sacchismo nella sua massima espressione (le vittorie con il
I suoi dogmi L’organizzazione prima di tutto, poi circolazione di palla, compattezza tra i reparti, velocità di pensiero Ama il made in Italy Ha voluto una specie di Coverciano ed è un amante del made in Italy. Facchetti era ammirato dai suoi allenamenti
Milan): 4- 4- 2, dinamico e spregiudicato (persino più del maestro) e con questo sistema di gioco aveva portato la Svizzera a qualificarsi al Mondale 1994 e all’Europeo 1996. Aveva fatto tremare l’Italia sacchiana a Cagliari, nelle qualificazioni per gli States, con la Svizzera in vantaggio 2-0 (finale 2-2) e l’aveva battuta a Berna (1° maggio 1993, 1-0). Rapito dall’Inter nell’ottobre 1995, Hodgson ha conosciuto le difficoltà e le trappole del campionato italiano e qualcosa ha corretto, fedele però all’idea che l’organizzazione di gioco venga prima di tutto, come si è visto anche nel lavoro sulla panchina dell’Inghilterra in questi due anni. Una sintesi fra lo studio di base, quello che aveva spinto Facchetti ad osservare con ammirazione gli allenamenti di Hodgson sotto la neve, tanto erano ricchi di creatività didattica, e l’esperienza di campo, con un punto fermo: massima attenzione alla circolazione della palla, alla compattezza fra i reparti, alla velocità di pensiero.
Del resto anche la scuola inglese non è più quella del 14 novembre 1973, il mercoledì della prima vittoria azzurra al di là della Manica (1-0, gol di Capello su assist di Chinaglia), tutti avanti e tutti a far cross, lasciando a disposizione praterie per il contropiede altrui; l’evoluzione tattica è certificata più ancora che dalle partite di Premier da quelle della Champions, esempio illustre il Chelsea di Mourinho.
Al di là dell’insistenza con la quale Hodgson ha chiesto che fosse costruita una specie di Coverciano all’inglese (St. George’s Park) e della sua ammirazione per il made in Italy (compresi il sole e il vino), con Hodgson in panchina si sta completando una specie di processo di italianizzazione del gioco inglese, nel momento stesso in cui Prandelli lavora per completare l’europeizzazione di quello italiano. Stasera a Manaus si capirà chi è più avanti.