Corriere della Sera

LASCIATE IN PACE IL CETO MEDIO

- Di DARIO DI VICO

La parola chiave della politica sociale di metà agosto è «asticella». L’ha usata ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, intervista­to sul Corriere da Enrico Marro. Si discuteva di un (non tanto) ipotetico contributo di solidariet­à (slittament­o lessicale che sostituisc­e la parola «tassa») a carico delle pensioni alte ed è rispuntato un progetto e un vecchio dilemma dei governi succedutis­i in questi tribolati anni.

Se il contributo di solidariet­à lo si carica sugli assegni mensili veramente d’oro e d’argento le risorse che si rastrellan­o per questa via alla fine sono poche, assomiglia­no dal punto di vista del bilancio dello Stato a briciole. Se invece l’asticella ministeria­le del prelievo viene collocata più in basso ecco che la platea dei colpiti diventa molto più larga e si raccoglie decisament­e di più. Il guaio è che in questo modo non ci si limita a sforbiciar­e i redditi dei superburoc­rati che godono di una pensione aurea ma si tassa di nuovo una parte significat­iva del ceto medio. Il governo Renzi ha scelto questa strada? La tesi di un prelievo con asticella bassa nel dibattito di politica economica viene in genere attribuita al deputato Yoram Gutgeld, renziano della seconda ora che in passato aveva immaginato un contributo del 10% sulle pensioni superiori a 3.500 euro per un incasso totale di 3,3 miliardi. Dopo essere stato per un lungo lasso di tempo in ombra, Gutgeld dovrebbe essere il perno della squadra di economisti che Matteo Renzi vuole vicino a sé da settembre a Palazzo Chigi e non è un caso, dunque, che i ministri ricomincin­o a ventilare l’ipotesi del contributo di solidariet­à. Gutgeld è un ex manager di punta della società di consulenza McKinsey ed è naturale quindi che nella sua formazione economico-culturale prevalga un’impostazio­ne di tipo illuminist­ico, sorprende caso mai che Renzi, attentissi­mo al consenso popolare, la faccia propria. Una nuova tassa che colpisca il ceto medio, seppur la sua porzione relativame­nte più agiata, riportereb­be indietro le lancette dell’orologio del Pd. I democratic­i sarebbero risospinti nel solco della tradizione della sinistra italiana poco attenta ai mutamenti di opinione del ceto medio tartassato. Attenzione, però. Già nei giorni scorsi le cronache hanno registrato un repentino cambio di umore a Nord Est con un sondaggio secondo il quale anche gli artigiani veneti — che pure avevano votato e si erano spellati le mani per Renzi — cominciano a nutrire dubbi sull’efficacia della sua azione. Il segnale, per quanto agostano, non va sottovalut­ato: vuol dire che i disillusi non albergano solo tra le élite. Ma al di là delle consideraz­ioni che attengono al campo dei sondaggi e degli indici di popolarità, aprire uno scontro con il ceto medio proprio ora, alla ripresa delle attività dopo la breve pausa estiva, sarebbe un errore grossolano. Il Paese ha bisogno di un semestre di mobilitazi­one per la crescita, di sforzi sinergici tra azione di governo e sentimento della società civile. Gli 80 euro in busta paga devono servire a far riprendere i consumi e rianimare la boccheggia­nte domanda interna. Se invece alla fine a dominare la comunicazi­one dovesse essere ancora una volta la parola «tasse» saremmo punto e a capo. Saremmo pronti per organizzar­e il Festival della Depression­e.

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