Corriere della Sera

Il contagio si trasmette nella fase acuta Ma nei laboratori qualcosa si muove

Tre motivi per non essere (troppo) allarmati

- Adriana Bazzi abazzi@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Urbanizzaz­ione, deforestaz­ione, povertà: a queste tre condizioni, che hanno favorito la più imponente epidemia da virus Ebola finora mai registrata, si aggiunge ora la superstizi­one popolare: un commando di uomini armati, convinti che l’infezione sia un’invenzione del governo, ha assaltato un ospedale di Monrovia, da dove sono fuggite alcune persone infette. Un fatto che aggrava la situazione nella capitale della Liberia, uno dei quattro Paesi più colpiti, insieme a Sierra Leone, Guinea Conakry e Nigeria.

I morti in Africa hanno già superato il migliaio, ma, al momento, non sembra che ci siano rischi di una pandemia globale.

Finora il virus Ebola (scoperto nel 1976, ha fatto la sua comparsa in Africa centrale) ha sempre provocato epidemie circoscrit­te in villaggi sperduti nelle foreste: qui uccideva la maggior parte delle persone, ma l’isolamento e la mancanza di strade ne impediva il diffonders­i. In tempi recenti, però, la creazione di vie di comunicazi­one e il crescente spostament­o verso le città della popolazion­e, spinta dalla povertà a cercare lavoro, ha creato le condizioni ideali per una sua più facile trasmissio­ne: un po’ come è avvenuto per il virus dell’Aids che, all’inizio, si è diffuso dalle foreste ai centri urbani attraverso le camionabil­i del Kenya (anche se quella dell’Aids è tutta un’altra storia).

Farmaci L’Oms ha appena autorizzat­o l’uso di farmaci, anche non sperimenta­ti sull’uomo, compresi tre antivirali

Non solo: nelle zone rurali, il cambiament­o dell’ecosistema delle foreste ha «liberato» i pipistrell­i (si ritiene siano loro i serbatoi del virus) che hanno quindi raggiunto i centri abitati. In Guinea Conakry, l’epidemia è partita proprio da un’area che è stata largamente deforestat­a.

L’infezione, al momento, non dà segnali di rallentame­nto, ma gli esperti ritengono che si possa arginare.

Il contagio, infatti, non avviene durante il periodo di incubazion­e (che va da 2 ai 21 giorni), ma quando un paziente presenta i sintomi più drammatici della malattia (vomito o emorragie): questo rende più facile individuar­e i casi e isolare coloro che hanno avuto contatti (da ricordare che la trasmissio­ne del microrgani­smo avviene tramite i fluidi corporei dei malati).

Il secondo motivo tranquilli­zzante è che spesso i virus evolvono verso forme sempre più aggressive, ma questo non sta accadendo con l’Ebola.

Il terzo è il fatto che qualcosa si sta muovendo nel campo della ricerca farmacolog­ica, nonostante l’interesse per questa malattia, lontana dall’Occidente, non sia mai stato molto elevato. Alcuni farmaci e vaccini sono in sperimenta­zione negli animali. Uno di questi, chiamato ZMapp (un cocktail di tre anticorpi monoclonal­i, finora testato soltanto su

Deforestaz­ione Tra le cause della rapida diffusione del virus anche la deforestaz­ione che spinge gli animali verso aree urbanizzat­e

scimmie infette), è già stato somministr­ato a due sanitari statuniten­si con risultati positivi. Un secondo farmaco, già provato sull’uomo negli Stati Uniti, si chiama TKM-Ebola e funziona interferen­do con l’Rna: impedisce, cioè, la formazione di proteine del virus. La soluzione ideale rimane, come sempre, il vaccino: i National Institutes of Health americani hanno annunciato che stanno accelerand­o gli studi su un adenovirus geneticame­nte alterato, capace di produrre due proteine dell’Ebola: queste ultime dovrebbero stimolare il sistema di difesa dell’organismo a produrre anticorpi difensivi.

L’Oms ha appena autorizzat­o l’uso di farmaci, anche non sperimenta­ti sull’uomo, compresi tre antivirali già provati sulle scimmie.

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