Corriere della Sera

LE VACANZE DIVERSE DEI RAGAZZI

Meno giochi all’aperto, più tablet e la regia degli adulti: ora anche lo svago ha un’agenda

- Elena Tebano

Le estati della nostra infanzia sapevano di sabbia e libertà. A volte persino di noia. Di quelle settimane sconfinate trascorse da generazion­i di italiani in gruppo coi coetanei, dei giochi lontani dagli adulti, dei pomeriggi infiniti interrotti solo da un pigro sonnellino dopo mangiato, è rimasto ben poco. Le vacanze dei bambini, oggi, sono parcellizz­ate, superimpeg­nate, sballottat­e tra scuole estive, viaggi studio e ferie lampo; serrate dentro ai programmi educativi, i corsi, i campi sportivi; assistite da madri e padri iperprotet­tivi, con i tablet onnipresen­ti (e solitari). C’è un’unica certezza, oggi come allora: il mare, protagonis­ta indiscusso delle ferie d’estate per il

68 per cento degli italiani.

Per i bambini degli anni 60 e 70 le vacanze erano un rito collettivo che iniziava in autostrada, sui sedili posteriori dell’auto: «Partivamo sempre di notte per evitare le code e il caldo, non c’era l’aria condiziona­ta — ricorda Mariapia Veladiano, vicentina, scrittrice e dirigente scolastica —. Ma non c’era volta che non finissimo fermi sul ciglio della strada, perché l’auto si era rotta o il radiatore bolliva». Erano i tempi del grande esodo, quando fabbriche e uffici chiudevano tutti insieme: «Quanto manca?», domandavan­o incessanti le vocine da dietro mentre il padre (quasi sempre) guidava e pazientava. «Oggi sono diminuiti i bambini che viaggiano in agosto: non solo per la crisi, ma perché le ferie si sono molto più diluite — fa notare il sociologo e fondatore di AstraRicer­che Enrico Finzi —. I tempi di lavoro sono diventati più flessibili e genitori spesso scelgono di lasciare le città a luglio e settembre, anche per risparmiar­e».

Di certo è cambiata anche la durata media delle villeggiat­ure: 20 giorni nel 1965, 19 nel 1975, poco meno di 13 nel 1998, solo 11 quest’anno secondo i dati di Federconsu­matori. «Nell’Italia di cinquant’anni fa chi partiva restava via moltissimo — concorda Chiara Saraceno, sociologa della famiglia —. Allora le donne erano soprattutt­o casalinghe e rimanevano mesi al mare o in montagna con i bambini e il marito le raggiungev­a il fine settimana o in agosto». Le famiglie erano più numerose, tre figli per donna in media negli anni 50, contro l’1,2 a testa di adesso, e i bambini non avevano problemi a trovare compagni di gioco.

«Una volta arrivati sciamavano fuori dall’auto e stavano in gruppo: passavano settimane intere all’aperto da soli», aggiunge Mariapia Veladiano. Fortunata Cesarali, 81 anni, che dal 1938 al 200o ha gestito con la famiglia il Bagno Italia di Forte dei Marmi, se le ricorda bene quelle «frotte di bimbetti» che giocavano a nascondino o calcio, saltavano sulle altalene, si rincorreva­no a Scontri agguerriti, molto spesso (ma non sempre) tra bambini: come nell' immagine scattata a Portofino, con le mamme sedute più indietro che pensano a tutt’altro (Contrasto) mosca cieca. Sempre senza adulti. Pure il rapporto col sole era diverso: «Le creme solari si usavano pochissimo. E se qualcuno si scottava, si passava un po’ di acqua ed olio. Dopo». Ora il rito dell’incrematur­a è un passaggio ineludibil­e per tutti. Sandro Veronesi, scrittore 55enne, rievoca giornate estive in cui «i genitori si vedevano soltanto a pranzo e cena. Io invece sono abituato a stare molto di più con i miei figli più piccoli: anche in spiaggia ci ritroviamo automatica­mente a passare tempo insieme», assicura. «I bimbi oggi fanno un uso diverso del tempo: non hanno mai un tempo “vuoto”, che non è perso, ma è il momento in cui nascono fantasia e pensiero. Quello in cui si elabora l’esperienza», chiosa Veladiano. E anche quando sono soli, i bimbi sono sempre più spesso attaccati a un tablet o a uno smartphone. In generale le giornate dei bambini, anche in vacanza oggi sono molto più irreggimen­tate, iperstimol­ate. Se per i piccoli di ieri i viaggi senza i genitori erano i soggiorni dai nonni oppure in colonia, oggi si moltiplica­no i viaggi di studio, i campi formativi, le escursioni sportive, la scuola estiva anche in città, dove tutte le attività sono programmat­e. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservator­io sul turismo giovanile, il 14,5 per cento delle famiglie manda i figli in vacanza Chi non li ha fatti, armato di paletta e secchiello? L’alternativ­a erano le meno impegnativ­e formine o la pista di sabbia sulla quale far correre le biglie di plastica con le immagini dei ciclisti da soli. Si tratta in tutto di un milione e trecentomi­la minori l’anno: il 24% parte per un viaggio studio, il 46% per un campo tematico. «Dovrebbero essere esperienze di emancipazi­one per i bambini — dice Veladiano, che dalla scuola ha un osservator­io privilegia­to —, ma sempre più spesso i genitori, per paura e ansia di controllo, non riescono a staccare quel cordone ombelicale permanente che è il cellulare. E i bimbi non si gestiscono mai in autonomia». Tra gli ingredient­i dell’estate che cambia c’è anche il gelato. Negli anni 50 era un lusso: ne mangiavamo pochissimo, circa due etti e mezzo a testa all’anno. Nei Settanta diventò una festa, un’avventura che si poteva vivere solo nei mesi più caldi, e meglio se in spiaggia, richiamata dai disegni di Jacovitti sui cartelloni di Eldorado (il mitico «Camillino» o il «Moreno» di CoccoBill). I bambini correvano a chiedere le 150 lire per il ghiacciolo o imploravan­o un cono artigianal­e. «Oggi ne mangiamo di più, perché ne mangiamo tutto l’anno. Non ci inganni la flessione di consumi di questi mesi di meteo anomalo — avverte Enrico Finzi —, è che il gelato ormai non è più un dolce di stagione».

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Le code in auto
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