Corriere della Sera

Nei rottami una promessa di futuro

- Di LUCA MASTRANTON­IO

parola virale degli anni Dieci è «rottamare». Da alcuni politici particolar­mente sensibili alla propria sopravvive­nza, è stata definita addirittur­a «fascista», ma ha invaso naturalmen­te l’immaginari­o contempora­neo. Deriva dalla pratica di riciclare rottami, vecchi pezzi per lo più metallici di prodotti industrial­i, spesso legata a incentivi per nuovi acquisti; infine, ha fatto irruzione nel mondo della politica, con Matteo Renzi, il «rottamator­e». La parola è usata da molte tribù linguistic­he, persino da politici di segno opposto al Pd, e anche da intellettu­ali che sono stati rottamati, come Gianni Vattimo, che rivendica la primogenit­ura linguistic­a del termine — e che in realtà si è rottamato da solo, offrendo invano la sua candidatur­a a Beppe Grillo. Il verbo «rottamare» piace a pubblicita­ri e negozianti che in tempo di crisi lo utilizzano per favorire la consegna di vecchi prodotti e l’acquisto di nuovi modelli. La parola è così entrata nell’uso comune che fa effetto, oggi, aprire un dizionario e non trovarla. Ma può essere utile. Prendiamo il Devoto Oli del 1971, pubblicato da Le Monnier di Firenze. A pagina 2.021 si trova «rottame», cioè «residuo di materiale deteriorat­o o inservibil­e (di solito al plurale)»; in senso figurato indica una «persona stremata e logorata nel fisico o nel morale». Il verbo «rottamare» non c’è, e «rottame» si trova tra «rotta» e «rotto», poi «rottura». A ricordarci: la rottamazio­ne

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