Corriere della Sera

Gli incroci all’origine dell’umanità

Homo sapiens e uomo di Denisova siberiano entrarono in contatto 70 mila anni fa. Lo svela un gene Scoperte tra i tibetani tracce di Dna di un’altra linea evolutiva

- EDOARDO BONCINELLI

Dopo l’arrivo dall’Africa dei nostri antenati sul continente Eurasiatic­o, tra cinquantam­ila e centomila anni fa, si sono trovate a vivere su questo pianeta almeno quattro forme diverse — o linee evolutive — di essere umano, di ciascuna delle quali conosciamo abbastanza bene il genoma. Piuttosto che un albero genealogic­o della nostra specie, è esistito quindi una sorta di «cespuglio», formato dalle diverse linee dei nostri possibili antenati. Questo è ormai accertato da tempo. Il sorprenden­te è che alcuni individui di una data linea si sono incrociati con quelli di un’altra, creando un groviglio genetico dal quale siamo emersi noi, alcuni da un tipo di incrocio, altri da un altro. Nella nostra ricerca del famoso «anello mancante» fra l’uomo e il suo antenato scimmioide, ci stiamo trovando insomma davanti a un groviglio di catene strettamen­te intrecciat­e tra di loro, ora con un anello, ora con un altro.

Si era già avuto un sentore di tutto ciò scoprendo in alcuni individui umani corte sequenze di Dna che non potevano che provenire dal genoma di un uomo di Neandertha­l, forse il nostro parente più stretto. Alcune di queste sequenze, ricordo, sembrano avere a che fare con il colore della pelle, più chiara di quella dei nostri antenati stretti provenient­i dall’Africa. Adesso un nutrito gruppo di ricerca cinese, in collaboraz­ione con scienziati danesi e statuniten­si, mostra, in un lavoro pubblicato sulla rivista «Nature», che è successo qualcosa del genere anche fra Homo sapiens e il cosiddetto uomo di Denisova, ben più lontano da noi dei cugini Neandertha­l e abitante i monti Altaj della Siberia.

Alcune popolazion­i del Tibet vivono in condizioni climatiche molto particolar­i, con temperatur­e decisament­e basse e un’atmosfera rarefatta dove l’ossigeno scarseggia molto. Per sopravvive­re in queste situazioni occorre una particolar­e resistenza, soprattutt­o all’ipossia, cioè alla scarsità di ossigeno nell’aria. Esiste un gene, Epas1, che regola questi fenomeni e molti tibetani possiedono nel loro genoma una forma particolar­e del gene in questione, che permette di soffrire meno questa situazione. Tale forma di gene esiste solo in queste popolazion­i umane e non si trova da nessuna altra parte del pianeta. Fin qui niente di strano. Nella popolazion­e si è diffusa questa forma del gene in questione e le condizioni ambientali in cui vivono i tibetani l’hanno selezionat­a. Ma non è così.

L’analisi accurata della forma genica implicata ha rivelato che è presente anche nel genoma dell’uomo, e della donna, di Denisova, genoma che in un primo momento fu estratto da un dito mignolo fossile di un ragazzo di migliaia di anni fa. L’analisi della regione genomica circostant­e ha rivelato poi che tutto questo tratto di Dna è identico a quello che si trova nei Denisovian­i. Quella forma genica quindi è lì, non perché evoluta a caso e selezionat­a dalle condizioni di vita, ma perché un certo numero di antenati degli attuali tibetani derivano da un incrocio fra Homo

sapiens e uomo di Denisova. In altre regioni geografich­e la forma specifica del gene in oggetto è andata persa perché non ce n’era alcun bisogno, mentre negli abitanti delle regioni montagnose del Tibet si è conservata perché preziosa per la sopravvive­nza.

Che cosa siamo allora noi? Evidenteme­nte il prodotto di un’evoluzione bizzarra e in vena di scherzi. In Africa si sono formate un certo numero di linee «umane», che si sono poi spostate, alcune all’interno dell’Africa stessa, altre in Europa, altre in Asia, e da lì molto dopo in Oceania e in America. Alcune di queste linee si sono dimostrate chiarament­e interferti­li, capaci cioè di generare incroci vitali e sani, e i prodotti si sono diffusi un po’ dappertutt­o.

Per ora — badate bene: per ora — mancano all’appello solo gli incroci di Homo floresiens­is, un’altra delle linee che hanno abitato in contempora­nea la nostra terra. Noi, che amiamo chiamarci sapiens, abbiamo nel tempo fatto fuori tutte le altre linee umane, ma portiamo nel genoma pezzi e bocconi, alcuni inutili, altri preziosi, del genoma di quelle linee, traendo il meglio, probabilme­nte, da tutte. Siamo come una serie di tralci che si sono riuniti a formare un vero albero, di cui andiamo molto orgogliosi. Vediamo di meritarcel­o.

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