Gli storici contro la tirannia del presente che confonde Mussolini e Carlo Magno
Mussolini come Carlo Magno? Non si tratta di una provocazione, né di un gioco. È molto seria la questione evocata dallo storico Roberto Balzani, ex sindaco di Forlì e candidato alle primarie del centrosinistra per la presidenza dell’Emilia-Romagna. Curatore della mostra «Il giovane Mussolini 1883-1914», in corso a Predappio, Balzani ha dichiarato al «Corriere di Bologna» che il fascismo è un «argomento sedimentato», cui bisogna guardare, se non proprio come a Carlo Magno, certo con più «distacco» che in passato.
Il nodo però, precisa Balzani al «Corriere della Sera», non è tanto la necessità di superare una visione ideologica del ventennio, quanto la difficoltà di trasmetterne la conoscenza: «Ormai le persone che hanno una visione prospettica del passato sono un’esigua minoranza, perché la gran massa della gente, soprattutto i giovani, percepisce soltanto l’immediatezza del presente. Così la storia diventa archeologia e l’oblio può cadere anche su personaggi che eravamo abituati a considerare decisivi per via del nesso tra il loro tempo e il nostro. Va a finire, insomma, che non si riesce più a distinguere Mussolini da Carlo Magno».
La preoccupazione è condivisa da un altro studioso, Giovanni Sabbatucci: «C’è molta ignoranza in giro e anche chi s’interessa di storia recepisce spesso nozioni frammentate, attraverso la televisione e il web. Mezzo secolo fa, quando Renzo De Felice avviò il suo lavoro biografico su Mussolini, ci si chiedeva se fosse possibile scrivere a così breve distanza temporale la storia di eventi tanto intrisi di passioni politiche. Oggi invece nessuno dubita che il fascismo sia una materia di studio e non di contesa ideologica, anche se resta il periodo storico che attrae di più l’attenzione del pubblico».
Su questo è d’accordo anche uno studioso che non ha mai fatto mistero della sua militanza antifascista, Nicola Tranfaglia: «Il regime di Mussolini ha lasciato il segno nella storia, ma è ormai passato a tutti gli effetti: solo frange marginali si richiamano a quell’esperienza. Oggi vedo all’opera tendenze autoritarie preoccupanti, come il progetto di rafforzare l’esecutivo a spese della rappresentanza, ma ciò non ha nulla a che fare con il fascismo».
C’è poi da tener conto, nota Salvatore Lupo, autore del saggio Il fascismo (Donzelli), che a volte il riferimento a quel regime viene destoricizzato: «All’estero come in Italia, il fascismo è diventato una categoria politica, un sinonimo di autoritarismo repressivo. Ma ciò corrisponde solo in parte alla sua ben più complessa realtà storica. Allora si tratta di collocarlo nel suo tempo, il che non vuol dire affatto rivalutarlo. È utile per esempio una mostra sul giovane Mussolini socialista, perché aiuta a capire che è limitativo incasellare il fascismo nell’estrema destra. Ovviamente parlarne ai giovani è difficile, perché sono eventi estranei alla loro esperienza, di cui i mass media forniscono spesso immagini fuorvianti. Ma uno sforzo va fatto, perché il fascismo è stato un fenomeno di rilievo internazionale. Nacque infatti, come il nazismo, dal collasso di un sistema rappresentativo dell’Europa occidentale e costituisce quindi una pietra di paragone dei mali che insidiano i processi di espansione della democrazia».
Balzani auspica però un approccio nuovo: «Urge ritrovare la connessione tra passato e presente, come fa il saggio sul capitale di Thomas Piketty, che è apparso una novità sconvolgente solo perché colloca i fatti economici in prospettiva storica. Ma la tensione civile di un tempo si è esaurita, com’era inevitabile. Forse bisogna partire dalla vita quotidiana, o smontare i meccanismi occulti, a volte grotteschi, del potere. Stimolare la curiosità, anche in forma ironica, mi pare l’unico modo per riaccendere nei giovani l’interesse per la storia».
@A_Carioti