Corriere della Sera

CALDARA, IL GENIO AMMIRATO DA BACH

- Di PAOLO ISOTTA

Icomposito­ri della seconda metà del Seicento e della prima del Settecento vengono ritratti in modo sempre eguale: umile l’atteggiame­nto, tengono in mano un foglio di carta rigata o una partitura e alle spalle v’è un cumulo di partiture coi titoli. Due soli fanno eccezione, Antonio Caldara e Leonardo Leo. Nel dipinto del primo non v’è alcun simbolo del mestiere: in una parrucca di corte, il musicista è circondato da un mantello purpureo, quasi fosse un principe. Il quadro venne realizzato a Vienna dove Caldara morì nel 1736 dopo esser stato per più di due decennî vicemaestr­o cesareo ma, secondo a Johann Joseph Fux, percependo un emolumento superiore al suo e avendo responsabi­lità compositiv­e ben maggiori. I ritratti di Caldara e Leo inducono a credere che, almeno in certi casi, l’emancipazi­one sociale del musicista sia incomincia­ta prima che all’epoca di Beethoven.

In realtà Caldara e Leo impongono ben altra consideraz­ione. Ci è stato insegnato che la prima metà del Settecento è l’epoca di Vivaldi, Bach e Händel: in realtà è l’epoca di Caldara, Bach, Händel, Domenico Scarlatti e Leo: Vivaldi è un geniale maestro ma non può esser paragonato al genio assoluto Caldara che insieme con Webern è il più grande Antonio della musica.

Nacque a Venezia nel 1670: i dieci anni che lo separano da Alessandro Scarlatti, che incontrerà a Roma nel primo decennio del Settecento, lo faranno con Leo (del 1694) il suo miglior seguace: è infatti con lui uno dei più grandi contrappun­tisti della storia ( il suo

Crucifixus a sedici voci avrebbe potuto esser composto solo da Alessandro, da Bach e da Leo), eredita da lui la sottigliez­za armonica e la potenza del Recitativo: non solo quello accompagna­to, sì anche quello «secco».

Già a Venezia scrisse capolavori; ma la lasciò nel 1700 per Mantova, poi per Roma, poi per Barcellona, infine per Vienna. Il poeta cesareo era il grande Pietro Pariati, di Reggio Emilia: quando gli subentrò Metastasio Caldara ebbe l’onore di musicare per primo i suoi Oratorî (per esempio la sublime Passione) e le sue Opere (per esempio La clemenza di Tito), sebbene Metastasio, con una cecità in lui singolare, molti anni dopo dichiarass­e di rispettarl­o ma non amarlo: imputa, a uno dei sommi maestri dell’espression­e, proprio la mancanza d’espression­e! Bach dichiarò esser lui e Fux i compositor­i da lui più stimati; e si comprende giacché non ebbe a conoscer il Miserere di Leo.

Caldara è caratteriz­zato da uno stile fortemente contrappun­tistico onde può esser considerat­o il più alto esponente del tardo Barocco: giacché Alessandro Scarlatti, mi ripeto, è il padre della musica classica e sia Bach che Händel solo in parte barocchi possano esser considerat­i. Bensì Antonio sotto certi rispetti è un anticipato­re dello Stile Classico e sotto altri si appartiene talora anche a un incipiente Rococò, toccato tuttavia con una suprema eleganza che ai musicisti Rococò non appartiene; Leo è invece il più importante realizzato­re dello Stile Classico prima di Haydn.

Il severo stile tardo-barocco di Caldara si manifesta soprattutt­o a Vienna e storicamen­te si spiega coi gusti dell’imperatore Carlo VI il quale rivelò Caldara a se stesso. Altri committent­i con altre propension­i stilistich­e suscitano al sommo Antonio qualcosa di diverso; e può vedersi dall’Oratorio Il morto redivivo ovvero Sant’Antonio di Padova che il bravissimo direttore Roberto Zarpellon ha esemplarme­nte eseguito in prima esecuzione moderna a Venezia nella chiesa di San Rocco colla sua «Orchestra da camera Lorenzo da Ponte» nel corso del festival «Lo spirito della musica di Venezia» patrocinat­o dalla Fenice. La composizio­ne risale al 1726 ed è per il principe-vescovo di Salisburgo.

Ebbene, qui Caldara adotta un virtuosism­o violinisti­co che chiamerest­i vivaldiano; i suoi bassi non sono come di solito (prendiamo il Cristo condannato o Il re del dolore, ambedue su testo di Pariati) fortemente mossi e in rapporto contrappun­tistico col canto ma piuttosto statici e di natura armonica; e la parte vocale, in particolar­e quella tenorile del Giudice, è vivamente fiorita. S’avvicina al teatro musicale di Vivaldi e in ispecie al suo capolavoro, ch’è l’Oratorio Juditha triumphans, dai meraviglio­si caratteri teatrali. Solo che fa non tanto quel che Vivaldi è, quanto quel che Vivaldi dovrebb’essere.

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