Tre medaglie pesanti, bene Del Buono e Marani ma che flop in pista
ZURIGO — La doppietta europea di Mo Farah (Barcellona 2010 e Zurigo 2014, più l’Olimpiade 2012 e il Mondiale 2013), mai nessuno come lui, la Gran Bretagna che supera la Francia nel medagliere (23 pari ma con 3 ori in più, 12 a 9) sull’onda lunga dei Giochi in casa, le ragazze della 4x100 italiana (Caravelli, Siragusa, Amidei, Alloh) che restano giù dal podio per 4 maledetti centesimi (e un cambio imperfetto). Il bilancio della giovine Italia che ha sgomitato per non sparire nell’Europa del flop russo (la Grande Madre azzoppata dal doping chiude con la miseria di tre trionfi e una caterva di bronzi: qualcuno, presto, partirà per la Siberia…), con due ori e un argento all’attivo, va interpretato. Tra 21 finalisti (cioè classificati nei primi 8), molte figuracce (o controprestazioni), un dramma sportivo (Greco rotto: si poteva e doveva evitare) e qualche ottima notizia (su tutte la Del Buono, 19 anni, quinta nei 1.500 e Marani terzo tempo azzurro all time nei 200 m dietro Mennea e Howe), nella domenica di Meucci oro nella maratona il presidente Giomi non può che dirsi soddisfatto «pur consapevole che c’è tantissima strada da percorrere». Ride la maratona, piange la pista, quell’affascinante campo minato dove nulla si improvvisa (solo 41 dei 71 punti della classifica a squadre arrivano dal Letzigrund, una miseria). Il modello da seguire è la Francia, «che però non è arrivata dov’è in venti mesi», il parco atleti (81) è stato allargato per capire su chi puntare per Rio, perché Meucci maratoneta è appena sbocciato e Straneo e Grenot non sono eterne, la ristrutturazione tecnica è in corso e indietro (aboliti i capi-settore) non si torna. L’obiettivo è sbarcare ai Giochi 2016 con una squadra in grado di competere sempre per il podio («In due anni le prestazioni devono diventare chance di medaglia», dice Magnani), i primati personali e stagionali di Zurigo sono la base da cui ripartire: «Avanti con chi non si è sentito battuto in partenza, dando tutto fino al traguardo». Giomi ha già chiesto al Coni di Malagò una redistribuzione delle risorse (senza soldi si resta sui blocchi), parte delle quali verranno utilizzate per assumere due «advisor» (si vocifera del mito Jan Zelezny per i lanci e di un mago straniero per gli ostacoli), i giovani migliori verranno spinti all’estero, sulla scia vincente di Fassinotti a Birmingham e della Grenot in Florida, ci si impegnerà nel recupero dei desaparecidos (tra gli altri Bencosme, Stecchi, Tumi, la Borsi) e in un cambio di mentalità: andare a prendere schiaffoni in faccia ai meeting internazionali anziché vivacchiare in Italia al calduccio dei corpi militari. «Troppo provincialismo» ammette Giomi. Con un atto di umiltà, il presidente ha chiamato il suo omologo francese, chiedendogli ospitalità per studiare dal di dentro un sistema rivelatosi a Zurigo straordinariamente vincente: «Non c’è da vergognarsi di aver qualcosa da imparare». Ha molta pastasciutta da mangiare, insomma, questa giovine Italia capace di galleggiare con le sue forze, i tecnici nostrani (che spesso non parlano nessuna lingua straniera) devono viaggiare per aggiornarsi e crescere, molto resta da fare sul piano della multietnicità di una squadra che dà la sensazione di sfruttare al minimo sindacale l’enorme opportunità di un continente senza frontiere. L’atletica è troppo bella e troppo preziosa per perdere altro tempo in chiacchiere. Se non ci ha aspettato l’Europa, figuriamoci il mondo.