Corriere della Sera

VERSO L’ABISSO ALL’INSEGUIMEN­TO DI MARLENE HUNT

- di ROBERTO COSTANTINI

Italia Balistreri vola giù da una scogliera a Tripoli il 31 agosto 1969. Quella notte Gheddafi prende il potere. Nel 2011, mentre Gheddafi crolla, il commissari­o Balistreri indaga su una serie di delitti che lo riporteran­no dove non voleva mai più tornare (Libia, isola della Moneta, 31 agosto 1969) Il sole rende luccicante il mare. Io e Laura siamo rimasti lì sulla sabbia bollente, in silenzio, mentre Italia e Marlene pranzano nella villa. Il motoscafo con gli adulti provenient­e dall’Underwater arriva in vista della Moneta, è passata da poco l’una e mezza. Il calore è insopporta­bile perfino sull’acqua, rende il panorama una specie di miraggio luccicante. Io e Laura saliamo dalla spiaggia sul pontile per aiutare l’ormeggio mentre il motoscafo si avvicina procedendo a meno di due nodi. Mio padre, a poppa, parla fitto con Busi e don Eugenio. È terreo in volto e a un certo punto si gira allarmato verso la villa. Mi giro anche io, facendomi schermo col braccio dai raggi del sole. La porta della villa si è aperta, Farid sta parlando con mia madre. Poi lei ci guarda brevemente da dietro gli occhialoni neri, i capelli chiusi nel solito foulard e il caffetano lungo di lino che lasciava scoperte solo le sue braccia bianchissi­me. Dalla tasca spunta un libro, Nietzsche probabilme­nte. Senza un sorriso lei alza un braccio a metà, una specie di saluto interrotto. Poi si blocca, come se avesse già fatto tutto il possibile. Si gira e si avvia a passo veloce verso il retro della villa. Restiamo lì, a una cinquantin­a di metri, muti e inebetiti. In quei due o tre secondi sul pontile battuto dal mare, dal vento e dal sole, avverto distintame­nte la paura intorno a me. E non la paura di uno, quella di tutti. Avevo già preso la mia decisione durante l’ora passata in spiaggia con Laura. Ora quel saluto triste di mia madre mi toglie ogni dubbio residuo. Ci penso io alla puttana americana. La forza che mi spinge è superiore sia alla ragione che all’amore. Mi giro e vado alla villa. Farid è sempre sulla veranda accanto alla porta da cui è uscita poco prima mia madre. Lo scosto bruscament­e. La porta del bagno degli ospiti è chiusa, da dentro sento lo scroscio della doccia. Busso, tre colpi forti. La chiave gira nella serratura e la porta si apre di un palmo. Il viso bagnato di Marlene mi fissa. Il suo corpo è nascosto dallo stipite e mi arriva l’odore di shampoo e crema solare. Il desiderio si mescola alla rabbia. Un desiderio animale, intollerab­ile, indesidera­to, reso ancora più inaccettab­ile dall’odio che provo per quella donna. «Ti devo parlare, subito». Vorrei essere minaccioso, ma la mia voce suona incerta, il tono debole. E questo aumenta la mia rabbia. Lei mi guarda con quel sorriso irridente. «Alle tre sarò a casa. E fatti una doccia gelata. Sei troppo accaldato». Mi chiude la porta in faccia. Cinque minuti dopo Marlene esce sulla veranda, in gonnellino bianco e canottiera rosa, abbronzata, i capelli neri sciolti, bella come una dea, seguita da Farid che le porta il bagaglio, un borsone di pelle nera col volto di Marilyn Monroe. Fa un cenno a mio padre. Vieni qui, Salvo. Come un cagnolino. Per un attimo ho l’impression­e che papà si stia per ribellare a quel gesto. Ma ha paura e si avvicina a Marlene. Le ho detto tutto Salvo. Sei pazza, Marlene. Le ho sentite davvero quelle parole? Le ho solo immaginate? Non sono sicuro. Poi Marlene si allontana verso il pontile dove Farid le sta caricando la borsa sul motoscafo. Non c’è più tempo, devo decidere. Posso raggiunger­e mia madre sull’altro lato dell’isola e consolarla, posso affrontare mio padre e minacciare uno scandalo. Oppure seguire Marlene Hunt, la vera colpevole. Scelgo questa strada. Me ne vado con Marlene, Farid e Salim. Parto verso l’abisso.

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