Usa e curdi riprendono la diga
Operazione congiunta con aviazione e teste di cuoio Usa, Obama ha autorizzato il raid: prima grande sconfitta dell’Isis
Le truppe curde, con l’aiuto di massicci raid aerei statunitensi, hanno preso ieri il quasi totale controllo della diga di Mosul, fondamentale per l’approvvigionamento di acqua potabile ed energia dell’Iraq. Sotto attacco anche in Siria, il Califfato sembra ora in crisi.
MAKHMUR (Iraq settentrionale) — Le fanterie curde hanno preso ieri sera il quasi totale controllo della grande diga di Mosul, ma solo grazie al massiccio intervento dell’aviazione e dei commando americani negli ultimi due giorni. E’ la prima, significativa sconfitta subita dalle milizie dello Stato Islamico (il cosiddetto «Califfato») dopo le sue importanti vittorie di inizio agosto, che hanno causato terrore e inflitto gravi massacri tra la popolazione, soprattutto ai danni delle minoranze nel Nord Iraq. I comandi curdi sostengono di essersi posizionati sulle rive orientali del gigantesco bacino idrico, uno dei più importanti del Paese, che garantisce le riserve di acqua potabile e la produzione di energia elettrica a larga parte della popolazione. Con loro opera anche un piccolo gruppo di teste di cuoio americane. «Tra le difficoltà che stiamo incontrando ci sono strade e strutture minate. Dobbiamo avanzare con circospezione», sostengono. I nemici sono segnalati in ritirata nell’intero settore. E la valutazione è che nelle prossime ore, previo l’arrivo di una quindicina di gipponi Humvee americani con dotazioni per la bonifica antimina, l’intera diga e le rive occidentali del bacino possano venire riconquistate.
«Un crollo o l’apertura incontrollata delle paratie avrebbe minacciato non solo i civili iracheni ma anche l’ambasciata Usa a Bagdad» fa sapere la Casa Bianca. L’operazione era attesa da tempo, sin dalla caduta della diga nelle mani degli islamici il 7 agosto. «Non possiamo lasciarla al Califfato. E’ una struttura importantissima. Se la facessero saltare, metà Paese ne soffrirebbe. Mosul e Tikrit, assieme ai pozzi petroliferi del Nord, finirebbero sott’acqua. Non è neppure nell’interesse degli estremisti sunniti distruggerla. Potrebbero farlo però se fossero con le spalle al muro», ci aveva dichiarato quattro giorni fa il generale Helgurd Hikmet, responsabile dei portavoce Peshmerga. Ciò spiega l’intensità dell’attacco coordinato curdo-americano. In 24 ore i jet, bombardieri ed aerei senza pilota hanno compiuto almeno 14 raid (sabato erano stati 9) nel settore. I portavoce Usa forniscono la lista dei mezzi nemici che sarebbero stati colpiti: 10 pick-up armati di mitragliatrici pesanti, 7 gipponi Humvee, 2 cingolati. Sarebbe anche stato distrutto un posto di blocco. «Questi attacchi americani sono fondamentali per aprire la via. Ora i nostri soldati devono fare i conti con gli attacchi suicidi, le mine sul terreno e le strutture attorno alla diga infestate di ordigni innescati», dichiara l’ex ministro degli Esteri iracheno, il curdo Hoshyar Zebari. L’avanzata curda verso Mosul ha costretto gli islamici ad abbandonare i villaggi di Tesqof, Risala e altri centri urbani della zona da dove era dovuta fuggire la popolazione cristiana, curda, sciita e la minoranza degli yazidi. «Miriamo a liberare l’intera piana di Ninive», ha aggiunto Zebari. All’offensiva americano-curda in Iraq si accompagnano i bombardamenti dell’aviazione governativa siriana nella città di Raqqa, considerata la capitale dei fondamentalisti sunniti in Siria. Il bilancio dei loro morti ieri supererebbe quota 30. Il Califfato sembra dunque in crisi. Due settimane fa appariva forte in Siria e vittorioso in Iraq. Il sogno di uno Stato unico sunnita sulle rovine dei confini definiti dalle potenze coloniali alla fine della Prima guerra mondiale pareva più vicino che mai. Ma ora è accer-