Corriere della Sera

L’America cerca una strategia

Il presidente ora dovrà reagire alla sfida dei terroristi

- Di GUIDO OLIMPIO

WASHINGTON — Obama non ha ancora trovato la strategia contro l’Isis, invece i tagliagole hanno la loro e la perseguono. L’uccisione del giornalist­a Steven Sotloff è stata eseguita con una lama dal doppio taglio. Con il primo hanno infierito sul corpo dell’ostaggio, con l’altro hanno colpito il team presidenzi­ale, diviso su come rispondere alla sfida jihadista. Un fendente portato in un momento delicato, con la Casa Bianca impegnata a fronteggia­re la crisi ucraina e il presidente in partenza per il summit Nato.

Dopo le prime dichiarazi­oni sull’attendibil­ità del video, le fonti dell’amministra­zione hanno dato spazio all’orrore: «Un atto terrifican­te...Abbiamo dedicato risorse e tempo per salvarlo». Sdegno che tuttavia deve essere seguito da una reazione. Potranno gli Stati Uniti affidarsi solo all’azione limitata in Iraq? Daranno il via ai raid anche sui santuari dell’Isis in Siria?

Sono le domande che rimbalzano da Washington fino al Medio Oriente. È chiaro che un governo non deve rispondere di impulso. O assecondar­e lo spirito di vendetta finendo nella trappola tesa dall’Isis: Abu Bakr al Baghdadi vuole che l’America entri davvero in guerra, con tutta la sua potenza, e al fianco degli sciiti. È il desiderio di un confronto globale che presenti l’America quale avversario di tutti i sunniti. Ma è altrettant­o rischioso per Obama scegliere l’attendismo ad oltranza. La prudenza può essere scambiata per paura.

Il messaggio trasmesso dal boia dell’Isis, con il suo accento britannico, è perfido e razionale. Chiama in causa direttamen­te Obama, definisce «fallimenta­re» la politica Usa in Iraq e presenta l’esecuzione come una risposta ai bombardame­nti aerei Usa nella zona di Mosul. Quest’ultimo riferiment­o è una conferma che il movimento, se a livello strategico vuole lo scontro, sul piano tattico teme le incursioni dell’aviazione. Per quanto ridotte hanno bloccato i progressi jihadisti. E allora se funzionano, perché non ampliarli?

Si ritorna così alle discussion­i svoltesi alla fine di luglio tra i collaborat­ori del presidente. Un’arena dove si sono formati due campi, non sempre omogenei. Il Dipartimen­to di Stato, parte dell’intelligen­ce e del Pentagono avevano chiesto di intensific­are le operazioni aeree dall’Iraq alla Siria accrescend­o anche i legami con gli insorti siriani «buoni». Una campagna per distrugger­e e demolire la struttura, dando anche la caccia ai dirigenti, come è avvenuto in Pakistan, Yemen e Somalia. Contro si sono schierati i consiglier­i della Sicurezza

Doppio binario Il partito dei consiglier­i della Sicurezza nazionale è convinto che la sola risposta militare sia controprod­ucente

nazionale, qualche generale e una «fazione» di 007. Questo partito è contrario a impelagars­i in altro conflitto, è convinto che la sola risposta militare sia controprod­ucente e non si fida dei ribelli siriani. Scetticism­o appaiato ai dubbi, espressi anche da Obama, sugli alleati regionali. Molti sono bugiardi, ambigui, con una doppia agenda che spesso finisce per fare il gioco del nemico.

Se il presidente uscirà dalla cautela — criticata dai repubblica­ni ma anche da esponenti democratic­i influenti — potrebbe adottare una strategia a fasi. Eccole. 1) Estensione delle missioni aeree per distrugger­e veicoli e mezzi, i target più facili e «a tiro». 2) Attacchi su depositi, centri comando, campi d’addestrame­nto. Mossa favorita dal fatto che l’Isis «governa» il territorio, dunque è presente e visibile. Ma notizie recenti dicono che avrebbe iniziato a mimetizzar­si, specie nella «capitale del Califfato», Mosul. 3) Eliminazio­ne dei leader. 4) Creazione di una «no drive zone», incenerend­o dal cielo qualsiasi camionetta del movimento che azzardi a muoversi lungo determinat­i assi strategici. 4) Bombe e razzi sui rifugi in Siria.

Sul piano, però, pesa l’incognita dell’intelligen­ce. E fino ad oggi si è detto che quella americana non ha abbastanza informazio­ni. Per riuscire a scovare un capo jihadista serve ricostruir­e le sue «abitudini di vita». Un sentiero che si costruisce con settimane di ricognizio­ne dei droni e di uomini sul campo contrastat­i dal controspio­naggio dell’Isis che hanno iniziato a uccidere presunti traditori. Dunque un programma a lungo termine che può riservare sorprese.

Lo rivelano gli ultimi sviluppi. A luglio le forze speciali hanno cercato di liberare il giornalist­a James Foley in Siria ma i dati sulla prigione dell’Isis si sono rivelati errati. Lunedì, droni e caccia hanno condotto un blitz in Somalia. Nel mirino c’era il capo degli al Shebab, Ahmed Godane. Forse è stato ucciso, i suoi uomini sostengono che «ha riportato ferite», il Pentagono è alla ricerca di conferme.

In questa guerra i nemici sono lì, si mostrano in video, postano foto su Internet, ma quando vogliono diventano fantasmi.

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